Spicca il nome dell’ex sindaco di Santa Maria Capua Vetere, comune della provincia di Caserta, Biagio Di Muro, tra le nove persone arrestate nell’ambito dell’operazione congiunta di Guardia di Finanza (Nucleo di Polizia Tributaria di Napoli) e Carabinieri (Nucleo Investigativo di Caserta). Gli indagati rispondono a vario titolo dei reati di corruzione e turbativa d’asta con l’aggravante di aver agevolato il clan di Casalesi.
L’indagine riguarda l’appalto per i lavori di consolidamento di Palazzo Teti, immobile ubicato in via Roberto D’Angiò confiscato al padre dello stesso primo cittadino, Nicola Di Muro. La gara, che negli anni ha subito vari rallentamenti, secondo l’ipotesi accusatoria della Dda di Napoli, sarebbe stata vinta da un raggruppamento di imprese ritenuto vicino al clan guidato da Michele Zagaria. Già nel luglio 2015 l’ex sindaco, in carica fino a pochi mesi fa, fu oggetto di una perquisizione.
Un arresto che cade in un momento storico cruciale, in cui a tenere banco sono le dichiarazioni di personalità di spicco in termini di legalità che hanno sollevato non poche polemiche: Piercamillo Davigo, presidente dell’Anm, ha affermato che “la classe dirigente di questo Paese quando delinque fa un numero di vittime incomparabilmente più elevato di qualunque delinquente da strada e fa danni più gravi.”
Sulla stessa corrente di pensiero sono orientate le dichiarazioni del procuratore nazionale antimafia Franco Roberti che intervistato da Marco Travaglio snocciola alcuni dei punti più critici che causano il mal funzionamento della giustizia, senza risparmiare le varie responsabilità in gioco. A differenza di quanto sostenuto da Renzi riguardo le sentenze che tardano o non arrivano il procuratore nazionale antimafia sottolinea come il problema non siano le sentenze che non arrivano ma piuttosto che queste cadono troppo spesso di prescrizione. Secondo quanto raccontato da Roberti al Fatto Quotidiano tra il 30-40% dei reati infatti cadono in prescrizione, tra questi buona parte di quelli a carico dei così chiamati “colletti bianchi”.
Sulla questione della presunzione di innocenza, Roberti dichiara: “è un fatto tecnico” che “non impedisce di mandare a casa chi fa cose gravi, anche se non sono reati”.