Simbolo di Napoli, la canzone ‘A’ tazza e’ cafè’, ha ritmo vivace ed allegro, ma soprattutto è piena di doppi sensi. Il suo celebre ritornello nasce nel lontano 1918, alla fine della prima grande guerra, quando Napoli pur non potendone più, cercava occasioni per divagare e fare musica.
A scriverla fu un uomo comune, tale Giuseppe Capaldo, cameriere del caffè Portoricco di Napoli, in cui lavorava una cassiera piuttosto scontrosa, ma molto affascinante, di cui lo stesso Giuseppe si invaghì.
La canzone dal ritmo incalzante, non a caso sostiene che una corte ben fatta, costante, può far crollare le incertezze dell’amata, così che le dolcezze infinite alla fine saranno garantite.
A musicare il celebre pezzo del repertorio partenopeo fu il Cavalier Vittorio Fassone, che aveva l’hobby di comporre musica. Nel brano la donna scostante è paragonata al caffè amaro, ma con zucchero depositato sul fondo. Sta all’uomo saperla addolcire girando bene “col cucchiaino”, per far divenire dolce l’oggetto d’amore che solo all’apparenza sembra altezzosa. Naturalmente gli intenditori sostengono che dietro l’arte del “saper girare il caffè”, si cela una metafora sensuale, tanto che la donna, proprio come il nero caffè, “dolce diverrà e tanto piacere donerà, alle labbra e non solo!”.