“Siamo stanchi di dover lottare contro il pregiudizio, la paura e anche “lo schifo” che ci viene riversato addosso quando alla domanda: “dove abiti?” rispondiamo: “nel Rione Conocal”.
Perché viene consegnato proprio alla nostra redazione un coro di protesta così sentito e “controcorrente”?
Perché non parlano al direttore di un giornale, ma a Luciana, all’amica cresciuta insieme a loro e che conosce bene i sacrifici che da sempre contraddistinguono le loro vite e che può testimoniare che loro non hanno mai toccato un’arma e una dose. Anzi, le odiano molto più di noi, perché è tutta colpa loro, di quelle armi e di quelle dosi, se si vedono etichettati come “ragazzi poco affidabili”.
Chi sono “loro”? Un meccanico, un barbiere, un libero professionista, un ingegnere, uno studente universitario. Abitano tutti nel Rione Conocal e hanno un’età compresa tra i 20 e i 32 anni. Ci tengono a precisare che anche in quelle palazzine, emblema delle “scene da gomorra” al pari delle vele di Scampia, vivono ragazzi che leggono libri, pagano le tasse, si fermano al semaforo quando è rosso e indossano il casco quando guidano il motorino e non per rendersi irriconoscibili, ma solo per rispettare la legge del “nostro” Stato. Non si sentono degli eroi per questo, né pretendono che gli venga consegnata una medaglia al valore civile. Gli basterebbe agguantare la lecita possibilità di condurre una vita serena, libera dalle brutture e dalle discriminazioni con le quali quotidianamente si relazionano, perché abitano nel Conocal: la roccaforte dei D’Amico resa celebre da un filmato che racconta il delirio di onnipotenza delle baby gang, “i guagliuncielli” che vivono lì, proprio come loro, ma che, a differenza loro, hanno scelto di servire il sistema.
Loro, “i ragazzi normali del Rione Conocal”, raccontano di una vita molto più complessa rispetto a quella di chi vive in maniera onesta in realtà ben lontane da “un impero del male”. Un’esistenza segnata da privazioni e frustrazioni, in sensibile ascesa proprio in seguito alla divulgazione di quel video. E che, come una ferita che proprio non vuole saperne di rimarginarsi, seguita a sanguinare tutte le volte che quel video viene riproposto o quando, per ammazzare la noia, in un momento di stasi in termini di cronaca nera, vengono proposti servizi giornalistici che piazzano al centro della scena il Rione Conocal.
Allo stato attuale, ad onor del vero, in seguito alla morte della “lady-boss” Annunziata D’Amico, – “la passillona” nonché sorella del boss Antonio, alias Tonino fraulella – il clan ha cercato di “riorganizzarsi”, ma tra affiliati uccisi e quelli arrestati, il potere dell’organizzazione che ha ereditato le briglie del malaffare dal clan Sarno, appare decisamente rimaneggiato. Perché tanti ragazzini che si atteggiano a boss non sono “la camorra”.
La camorra è un’altra cosa e in un quartiere che ha subito in maniera assai preponderante la violenta egemonia del clan Sarno, la distinzione tra “camorristi” e “capuzzielli” è assai chiara, sia tra i “buoni” che tra i “cattivi”.
Ragazze che interrompono conoscenze e frequentazioni una volta appresa l’origine di quei ragazzi, sorrisi che si tramutano in sguardi attoniti, clienti che si dissolvono nel nulla, talvolta anche insulti e forti imprecazioni lungo le vie della Napoli bene: queste alcune delle reazioni che le parole “Rione Conocal” si rivelano capaci di sortire tra la gente comune, questa è solo una minima parte di quello che “i ragazzi normali del Rione Conocal” sono costretti a subire. Una condizione condivisa e compresa dagli altri “ragazzi normali” che nascono, crescono e vivono in posti in cui l’infiltrazione della camorra è innegabile, ma questo non legittima, di certo, la ricerca dello scoop a tutti i costi, né la pesante affrancatura di un’etichetta che di riflesso deve necessariamente estendersi a tutte le cose ed, ancor più, alle persone riconducibili ad un contesto. Vallo a spiegare all’immaginario popolare collettivo.
“Non cerchiamo 5 minuti di gloria, né pensiamo che il fatto che conduciamo “una vita normale” meriti di essere raccontato davanti a un microfono e una telecamera, non dovrebbe “fare notizia” o destare scalpore, proprio perché rappresenta “la normalità”. L’accanimento mediatico contro un luogo che si ha la presunzione di voler raccontare attraverso “i luoghi comuni”: case popolari, clan, camorra, droga, pistole, impennate sui motorini, ecc… Non è un modo onesto né dignitoso di riprodurre una realtà molto più complessa di come appare in quel video che risale a più di un anno fa. Forse è il caso di ricordarlo a qualcuno. È facile venire nel Conocal oggi per fare il solito servizio in cui si parla di camorra, perché, invece, le telecamere non vanno mai a riprendere l’aria che si respira tra le mura del quartier generale del clan De Micco o di altri clan egemoni in nella periferia orientale di Napoli e che realmente, allo stato attuale, “comandano”? Perché all’Italia che non è mai stata personalmente a Ponticelli o a Scampia si consegna sempre la stessa visuale? Come si fa a non rendersi conto che così facendo si fomenta un meccanismo che rema nella direzione esattamente opposta a quella verso la quale l’informazione dovrebbe traghettare le masse. L’abbattimento dei pregiudizi, in primis. Non stiamo dicendo che nel Rione Conocal si vive come in Svizzera, ma anche al Vomero e a Posillipo si delinque. Ogni tanto, soprattutto quando si rispolverano “i soliti luoghi comuni sul Conocal” è bene ricordarlo.
Negli ultimi tempi, si spara tanto, in altri quartieri e rioni critici della città, ma si parla ancora del Conocal. Inspiegabilmente. Potrebbe avere un senso venire qui, in un momento in cui si spara a Secondigliano e al Rione Sanità, per rilevare le potenziali opportunità da cogliere: prima che il clan D’Amico si riorganizzi, grazie alla complicità di qualche alleggerimento di pena, sarebbe opportuno sottolineare che agendo in maniera tempestiva, rafforzando ed intensificando le attività sociali e non solo che si svolgono già all’interno delle strutture presenti nel Rione, – ma quieto nessuno lo dice mai – si può sfaldare la criminalità e con lei, pregiudizi e luoghi comuni, proprio com’è accaduto a Scampia qualche anno fa.
Ma raccontare che “i ragazzi normali del Rione Conocal” sognano di vivere nella legalità, non fa notizia e rumore come sbattere in prima pagina i tatuaggi di “fraulella”, le scene e le frasi da Gomorra.”