Una raffica di proiettili che ha dato luogo ad un episodio dal volto criminale inedito, quello messo a segno contro la stazione dei carabinieri di Secondigliano poco più di 48 ore fa.
La camorra non aveva mai osato spingersi così oltre, neanche nell’ambito delle più concitate fasi delle faide che hanno insanguinato la periferia Nord, arrivando a mietere centinaia di morti.
Un raid che stravolge quella sorta di equilibrio tacito che in qualche modo tratteggiava una timida linea di confine tra criminalità e legalità, sancendo che per questa camorra non esistono limiti inviolabili.
Passato lo sconcerto del trauma iniziale, le attenzioni degli inquirenti si riversano sulle tracce utili a conferire un’identità e un movente a quel raid.
Tracce che conducono ad una decisione del Tribunale dei minori di Napoli, su richiesta della Procura dei Colli Aminei e della Dda di Napoli.
Un decreto di allontanamento temporaneo di due minori, figli di una giovane donna incensurata e di un boss latitante, che da almeno tre anni semina terrore a Secondigliano. È ritenuto esponente di spicco del clan della Vannella grassi – i cosiddetti “girati” –capace di compiere plurimi reati, in primis, commissionare e mettere a segno plurimi omicidi.
Due giorni fa i carabinieri sono entrati in casa della giovane donna per portare via i bambini: un provvedimento adottato a tutela degli stessi minori, di fronte al fatto che la donna ha incontrato il marito anche durante la sua latitanza e in relazione a una sua parentela con un pentito. Una misura di precauzione temporanea, unica nel suo genere, almeno per quanto riguarda il contesto criminale napoletano. Una decisione presa su input delle indagini del pool anticamorra guidato dal procuratore aggiunto Filippo Beatrice.
I bambini sono in località protetta fuori regione e non accolti in una comune casa famiglia, di fronte alla prevedibile reazione del contesto criminale del boss latitante. Non possono incontrare la mamma, che nel frattempo si è appellata allo stesso Tribunale dei minori, che ha fissato una udienza il prossimo 30 giugno.
Moglie di un boss latitante, con un parente pentito in casa, «non si è voluta sottoporre a misure di protezione, così facendo ha messo in pericolo l’incolumità dei figli minori». Quanto basta – ragionano i magistrati – per sospendere la patria potestà in attesa di una sentenza definitiva, quanto basta a sollevare un caso. A questo punto, la donna ha una sola strada per riabbracciare i propri figli: può decidere di aderire al programma di protezione, troncando i ponti con il marito latitante e mettendosi al riparo anche rispetto alle possibili vendette trasversali, quelle ordite per zittire un collaboratore di giustizia. Uno scenario troppo delicato, che ha spinto gli inquirenti a muoversi d’anticipo per sottrarre i figli a genitori incapaci di tutelarli e affidarli alla comunità. Una vicenda che si è poi arricchita di informazioni raccolte sul territorio.
Potrebbe essere proprio quella raffica di colpi riversata contro la stazione dei carabinieri la prima reazione del padre che non ha recepito di buon grado quella decisione, a supporto di questa tesi, una serie di intercettazioni estrapolate da un dialogo tra un uomo e una donna, il primo urla con rabbia l’impellente necessità di “pompare”.
Un collegamento, quello tra il raid e l’ira che trapela dalla suddetta conversazione, legittimato anche da un’altra espressione: «Allora non hai capito? – urla l’uomo alla donna – portami i fucili, devo avere i fucili pronti…».