Festa grande, stanotte, in via Taverna del ferro, quella strada della periferia orientale di Napoli balzata agli onori della cronaca per merito dell’omicidio di Vincenzo Amendola, il 18enne che viveva poco distante dalla fossa nella quale è stato seppellito, dopo essere stato giustiziato a suon di colpi d’arma da fuoco. Due i proiettili letali, per l’esattezza, uno rivolto allo zigomo è l’altro alla tempia. Un’esecuzione, volta a cancellare le colpe di cui si era “macchiata” quella giovane vita, nel segno e nel credo delle regole dettate dalla camorra.
Si festeggia perché il Tribunale del Riesame di Napoli ha annullato le ordinanze di custodia cautelare nei confronti di Gaetano Formicola e Giovanni Tabasco, accusati dell’omicidio del diciottenne. Le motivazioni della decisione saranno depositate nei prossimi giorni. I difensori degli indagati avevano chiesto l’annullamento sostenendo che non erano state depositate le trascrizioni e le registrazioni foniche delle telefonate intercettate e avevano ritenuto che fossero prive di riscontro le dichiarazioni di accusa di Giovanni Nunziato, il terzo presunto complice dell’agguato, il giovane grazie al quale non è stato possibile solo ricostruire la dinamica dei fatti, ma anche giungere al ritrovamento del cadavere, perché, su quell’appezzamento di terreno che fagocitava il cadavere di Vincenzo stava per sorgere una fattoria.
Secondo quanto riferito da quest’ultimo, Amendola sarebbe stato ucciso da Formicola, figlio di un boss della camorra, perché si vantava di una sua presunta relazione con la moglie di un detenuto affiliato al clan.
I due giovani restano comunque indagati, ma, ogni scarcerazione che si “rispetti” va festeggiata a suon di fuochi d’artificio e “botte” di champagne. Anche questo impone “il codice della camorra”.