È un giorno di sole e speranza, quello sorto all’alba di oggi ai piedi del Vesuvio, a San Sebastiano.
Un giorno animato dal ricordo, oggi, più vivo che mai di Paolino Avella: quel ragazzo che il 5 aprile di 13 anni fa perse la vita al culmine di un incidente, innescato da due rapinatori che speronarono quello scooter che Paolino non aveva voluto consegnargli, forse per paura o perché in preda alla variabile imprevedibile che si innesca in quei frangenti, non puoi mai sapere qual è la cosa giusta da fare.
Come se esistesse un’azione giusta da applicare al cospetto della criminalità.
Di certo, Paolino non era un eroe né uno scellerato, mai avrebbe immaginato che quello sorto all’alba di oggi di 13 anni fa sarebbe stato il suo ultimo giorno e che all’uscita di scuola avrebbe trovato la morte ad attenderlo. Meno che mai, che agendo in quel modo avrebbe decretato la sua “condanna a morte”.
Eppure è successo.
Oggi, Paolino è stato ricordato attraverso una celebrazione liturgica nella chiesa di San Sebastiano al Vesuvio, quella che giace di fronte a quel “bar centrale” che in quegli anni, negli anni della nostra adolescenza, era tanto in voga tra noi ragazzi.
L’ironia del destino, quella casualità che ama incastonare nelle nostre vite suggestive emozioni, ha voluto che parcheggiassi l’auto proprio a pochi passi dal luogo in cui ho conosciuto Paolino.
Quello che noi studenti poco inclini allo studio chiamavamo “il vicoletto”, una lunga e discreta stradina che collega la strada adiacente al liceo con quella che converge verso la piazza che accoglie la chiesa.
Il vicoletto era il bunker di noi ragazzi, quando dovevamo fare i conti con qualche interrogazione che cozzava con la nostra inadeguata preparazione, oppure, semplicemente, avevamo più voglia di sognare fissando il cielo, abbracciati ai nostri zaini che si tramutavano in scomodi cuscini, piuttosto che rimanere relegati dietro ad un banco a guardare il mondo che sfrecciava al di là del vetro.
È lì che ci siamo conosciuti io e Paolino, nel vicoletto, è lì che insieme a decine di studenti ci ritrovavano ogni mattina, anche solo per salutarci prima di entrare in classe, perché, a modo nostro, eravamo una piccola comunità che aveva imparato a proteggersi, a parlarsi con gli sguardi, complici e comprensivi, e a guardarsi le spalle a vicenda quando decidevamo che quel giorno non eravamo “pronti” per affrontare la scuola.
Col senno di poi dovrei redarguire quella condotta, eppure, se fossi stata un’alunna diligente, forse, non avrei conosciuto “il ragno”, Paolino. Non eravamo “cattivi” né cattive erano le nostre intenzioni, anzi, la nostra voglia di vivere viaggiava a velocità così sostenuta che facevamo fatica a stargli dietro.
E proprio perché ho conosciuto e condiviso la voglia di vivere di Paolino, a 13 anni di distanza dalla sua scomparsa, non so voltare le spalle al mio “amico del vicoletto”.
Chissà come sarebbe andata se, quella mattina di 13 anni fa, Paolino avesse “sentito” che non era “pronto” per entrare a scuola.
Oggi, vale la pena di chiederselo, ancora una volta. Anche se non servirà a cambiare la realtà dei fatti.
Quant’è stato crudele il destino con quel ragazzo, scippandolo alla vita mentre si apprestava a tagliare il traguardo della maggiore età.
Già, pochi giorni dopo, Paolino avrebbe compiuto 18 anni.
In chiesa, stasera, c’erano tanti volti degli adolescenti di quegli anni, cresciuti, ognuno di noi ha trovato la sua strada, ma nessuno di noi ha smesso di voler bene a quell’amico tragicamente scomparso 13 anni fa e, stasera, esattamente come accadde 13 anni fa, abbiamo saputo e voluto stringerci intorno alla famiglia Avella.
13 anni fa, tutti i ragazzi del Liceo Scientifico di San Sebastiano al Vesuvio e tutti i ragazzi del circondario, piangemmo, abbracciati, al cospetto di quella brutale morte.
Stasera, eravamo una dozzina, ma si sa com’erano e come sono tuttora i giovani: al cospetto delle cerimonie religiose, talvolta, storcono il naso. “Roba da vecchi”.
Ai piedi di quell’albero contro il quale si è infranta la vita di Paolino, anche oggi, è stato riposto un mazzo di fiori bianchi. Quella sciarpa del Napoli che da quel giorno è avvolta intorno al tronco è ancora lì, a ricordare l’amore di Paolino per i colori azzurri. A pochi metri di distanza “dall’albero di Paolino” è sorto un bar, diventato ben presto uno dei nuovi luoghi di ritrovo dei ragazzi del circondario.
Non chiedetemi perché, ma ho sempre immaginato che quel bar, sorto proprio lì, fosse una novità gradita a Paolino che tanto amava stare tra gli amici e che sapeva essere una piacevolissima compagnia. Una delle casuali opere del destino finalizzata a far sì che la sua memoria, la sua storia continuino a vivere anche tra i giovani di oggi. Impossibile per le nuove generazioni, stanziare lì, accanto a quell’albero, senza leggere le emozioni che consegna.
Sono trascorsi 13 anni, accanto ai suoi genitori in chiesa, tra le panche, era relegato anche il dolore di tanti altri familiari di vittime innocenti della criminalità. Quel senso di serena e partecipata emozione che avvolge quei luoghi che appartennero anche a Paolino, comprovano quanto sia ancora vivo. Negli occhi e nei cuori delle persone che non hanno mai smesso di volergli bene e in quelle che hanno imparato a volergliene senza mai averlo conosciuto e, soprattutto, in quel messaggio, rigoglioso e perentorio come un severo monito, insito nella sua tragedia che sicuramente ha insegnato ai “ragazzi del vicoletto” di quell’epoca a diventare degli uomini e delle donne migliori, oggi, molto di più di quanto hanno saputo fare le ore trascorse tra i banchi di scuola.
C’è solo un modo per portare “quel vicoletto” tra i banchi scolastici: assegnare al liceo scientifico di San Sebastiano il nome di Paolino Avella.