Si avvicina il 17 aprile, giornata in cui si voterà per il tanto discusso referendum sulle trivelle. L’opinione pubblica è divisa tra il SI e il NO, e anche i partiti hanno preso posizioni diverse ma, prima di decidere che cosa votare, bisognerebbe capire bene che cosa prevede attualmente la legge e che cosa potrebbe cambiare realmente.
In sostanza, mediante il Referendum Trivelle i cittadini devono pronunciarsi sull’abrogazione della legge sulle trivellazioni solo per le parole “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”.
Già lo scorso anno era stata organizzata una raccolta di firme, ma non era stato raggiunto il quorum; il referendum abrogativo si terrà lo stesso in quanto richiesto da nove Regioni, quali: Puglia, Calabria, Sardegna, Basilicata, Campania, Marche, Molise, Veneto e Liguria. Per essere valido sarà sempre necessario ottenere almeno il 50% più 1 dei voti.
Con il referendum si chiede se vogliamo l’abrogazione di una norma che, oggi, consente alle Compagnie petrolifere di continuare l’attività di estrazione del petrolio, anche dopo che la concessione sia scaduta, sino all’esaurimento del giacimento petrolifero.
Fino a poco tempo fa, la legge stabiliva che dopo al massimo 45 anni, la concessione scadeva e la Compagnia non poteva più estrarre petrolio. Con la nuova norma invece, si è concesso alle Compagnie di continuare a trivellare anche dopo la scadenza della concessione, a tempo sostanzialmente indeterminato, sino all’ esaurimento del giacimento. Se vince il SI, quindi, entro i prossimi 2 /10 anni, queste concessioni scadranno e le attività estrattive dovranno cessare.
La vittoria del sì inoltre, bloccherà tutte le concessioni per estrarre il petrolio entro le 12 miglia dalla costa italiana, quando scadranno i contratti. Tra gli altri saranno interessati dalla misura: il giacimento Guendalina (Eni) nell’Adriatico, il giacimento Gospo (Edison) nell’Adriatico e il giacimento Vega (Edison) a Ragusa, in Sicilia. Non saranno interessate dal referendum tutte le 106 piattaforme petrolifere presenti nel mare italiano per estrarre petrolio o metano.
In particolare, il referendum prevede il seguente quesito:
“Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale“?.
Una vittoria del Sì avrebbe un forte effetto politico e simbolico; spingendo la politica a fare quei passi verso le energie rinnovabili che in altri paesi europei sono stati fatti negli anni passati e che in Italia sono al palo, o quasi.
Dall’altro lato, invece, troviamo sostenitori del NO al referendum per le trivelle. Gianfranco Borghini ha dato vita ad un comitato, “Ottimisti e razionali”, in cui sostiene che le trivelle hanno consentito in questi anni di limitare il traffico marittimo di navi petrolifere, molto più inquinanti. Senza considerare che i giacimenti estrattivi hanno offerto migliaia di posti di lavoro agli stessi italiani.
In sintesi, gli attivisti ritengono che l’inquinamento non sia comunque il solo motivo per cui diranno no alle trivellazioni: la questione è un’altra ed è di ordine meramente politico: ovvero lanciare un segnale importante sulla necessità di investire sulle fonti rinnovabili.
Non resta altro che attendere il prossimo 17 aprile, per vedere cosa pensano realmente gli italiani coinvolti.