I nuovi mostri generati dalla camorra, quelli che sanno manifestare in maniera concreta e mostruosamente palpabile tutta la pericolosità disseminata dall’ideologia criminale e capace di contaminare anche le scene di vita più innocenti ed impensabili.
Un bimbo mascherato da Emanuele Sibillo, il leader della paranza dei bimbi ucciso in un agguato lo scorso luglio a Forcella. Una foto che ha fatto assai rumore sui social, innescando reazioni avverse e contrastanti: like, condivisioni, indignazione, stupore, sconcerto.
Un baby-boss che esibisce una folta barba finta, simbolo distintivo della paranza dei bimbi, impugna una pistola giocattolo ed esibisce “il pezzo”, “o’ piezz’” per dirla alla napoletana, ovvero, il rolex al polso, occhiali da sole “Persol”, in perfetto stile “clan dei baby-camorristi”. Questi gli elementi che hanno sancito l’immedesimazione di una vita innocente nel giovane boss di Forcella, Emanuele Sibillo.
Il bambino ritratto in quella foto avrà poco più di cinque anni, erto a testimonial inconsapevole dell’orrore generato, su più versanti, dal clan dei baby-camorristi, capaci di disseminare terrore e sangue tra i vicoli del centro storico cittadino.
Loro, i giovani del clan comandato da Emanuele Sibillo prima e in seguito alla sua morte dal fratello Pasquale, attualmente detenuto in carcere al culmine di una latitanza durata diversi mesi, proprio come avvenuto nell’ambito della prima serie di Gomorra, la fiction tanto in voga tra i giovani fan della camorra, hanno “alzato la testa” contro i “vecchi capi” del clan Mazzarella per tentare di rivendicare la loro egemonia tra i vicoli di Forcella in termini di estorsioni e spaccio di droga.
Serate in discoteca tra bottiglie di Belvedere, risse, pippate di cocaina e belle donne, la bella vita, lo sfarzo, il lusso, gli abiti griffati, le pistole d’oro: queste le velleità che animano le gesta dei giovani del clan e che pertanto vengono visti come delle “icone da emulare”, perché capaci di appropriarsi di quel benessere e di quel rispetto che sancisce la differenza tra un “servo del sistema” e “un uomo d’onore”.
Intorno alla figura di Emanuele Sibillo aleggia, tuttora, un sentimento di “stima incondizionata”.
Un “Messia”, un “difensore degli oppressi”, un giovane capace di sovvertire le obsolete gerarchie per lasciare “spazio ai giovani”, un eroe che non ha avuto paura di sfidare la sorte e i rivali per rivendicare la sua egemonia, per tentare la sua scalata al potere.
Eppure, non tutti sanno che Emanuele sognava di fare il giornalista e che durante un periodo di detenzione trascorso in un carcere minorile identificò proprio in quella nuova passione il tassello dal quale ripartire. Come sia potuto accadere che quei buoni propositi abbiano lasciato il passo alla criminalità ed Emanuele si sia di fatto ritrovato a capo della “paranza dei bimbi”, non è difficile dedurlo.
Il fascinoso richiamo del lusso e del potere, del rispetto e del “successo” che la carriera criminale assicura con più celere immediatezza, al cospetto dei sacrifici e della vita ben più morigerata che contraddistingue la tutt’altro che facile carriera di un aspirante giornalista, genera una lotta ad armi impari dove la soluzione più ovvia si rivela quella letale. La storia di Emanuele ed ancor più il suo triste epilogo, lo comprovano.
Il boss ventenne capo della terza generazione della camorra è stato ucciso da latitante, in via Oronzio Costa, nel corso della guerra per il controllo del centro storico di Napoli. Ucciso come un infame, con un colpo esploso mentre era di spalle, un affronto insopportabile per un uomo d’onore.
Al giovane boss è stata dedicata una cappella votiva in un palazzo del centro storico di Napoli, un video con le canzoni di Eros Ramazzotti e anche un bambino che, a Carnevale, ha dato un nuovo, macabro respiro alla sua memoria, incarnando molto di più delle sue “semplici” vesti.
Nella terra della camorra, dove la criminalità continua a mietere morti, soprattutto innocenti, accade di tutto.
Anche che nella scala dei valori di un bambino non vi sia posto per “i classici” idoli: i calciatori, i personaggi dei cartoon, lasciano tristemente il posto ad un’icona della camorra che ha perso la vita l’estate scorsa a soli 20 anni, negli stessi vicoli tra i quali cresce quel bambino.