“Eravamo ottantamila” di Giuseppe Ilario ci fa rivivere uno spicchio dell’adolescenza dell’autore, nel segno della passione per il calcio e soprattutto per il Napoli, negli anni d’oro del calcio italiano raccontandoci, nello specifico, della stagione calcistica 1980/81.
L’autore Giuseppe Ilario, avvocato e giudice di pace, già autore del libro ‘Irpinia, scopriamo gli altarini’ e numerosi articoli in materia giuridica sulla rivista “Il Denaro”, in questo caso ha confezionato un libro che trasuda passione, quella di un’intera città che vibra di speranza e che vede nella squadra cittadina un’occasione di rivalsa sociale prima che calcistica e che si illumina in quegli anni del sogno di un primo scudetto azzurro.
Giuseppe Ilario ci fa rivivere i momenti salienti del campionato, tra caffè Borghetti, partite al San Paolo e l’euforia per il grande talento del libero Rudi Krol. Ricordi ed emozioni di una fase della vita dello scrittore che si chiuderà con il sogno svanito dello scudetto, ma che resterà impressa nelle sue emozioni da giovane tifoso. L’autore concede ai suoi lettori anche il piacere di immaginare un finale diverso della storia, con Andy Warhol che dipinge il Vesuvio e Krol eletto sindaco. “Soddisfatto per l’esito della gara, notiziai mio padre esclamando: « Abbiamo vinto!». Lui, pacato, rispose con ironia: «Perché? Hai giocato anche tu?». Io replicai: «Sono tifoso, vado allo stadio e faccio parte del Napoli!”
A curare la prefazione del libro è stato il giornalista e scrittore Marco Martone, che ha vissuto anche lui il mitico periodo del calcio anni ’80 sulle gradinate dello stadio San Paolo di Napoli: “Il Napoli raccontato da Giuseppe Ilario appartiene a tanti di noi, poco più che adolescenti in un’epoca in cui si andava allo stadio rispettando riti e abitudini, ripetendo rituali e scaramanzie, dopo aver litigato con mamme e fidanzate per quell’ennesima domenica dedicata unicamente alla nostra squadra del cuore. L’autore ci accompagna, a piccoli passi, nel calcio senza sponsor e senza internet, con partite che si giocavano la domenica pomeriggio, in un mondo in cui i giocatori avevano sulle magliette i numeri dall’uno all’undici e mostravano tutte le proprie fragilità, debolezze e imperfezioni, anche fisiche”.