I tatuaggi: una moda dilagante tra i giovanissimi e non solo.
È ormai vicenda nota che la camorra si serva dell’”indelebilità”, caratteristica imprescindibile del tatuaggio per imporre ai propri discepoli un servile ed indissolubile atto di fedeltà, volto a conferire il solenne tratto dell’eternità al legame che intercorre tra clan e gregari e, al contempo, rende più facile l’identificazione dei membri appartenenti ad una determinata organizzazione, con tutti i pro e i contro che questo comporta.
L’ultima “moda” in materia di tattoo, probabilmente tutt’altro che estranea alle dinamiche criminali, è quella di farsi incidere sul corpo ferite da arma da fuoco.
Mentre, in passato, gli uomini del clan si servivano dei tatuaggi proprio per coprire le cicatrici derivanti dalle ferite da arma da fuoco, adesso, la consolidata “predisposizione al macabro” che dilaga sia tra i giovani che tra le file della camorra, trova la sua più topica espressione proprio tra i giovani della camorra che si avvalgono anche di questo nuovo ed inquietante escamotage per “sfidare la paura”.
Già, ferite da spari. Un vanto da esibire con orgoglio per un giovane affiliato, perché simbolo di virile e fiera forza, oltre che di una battaglia vinta contro chi ha provato a farlo secco, quindi emblema di coraggio ed “invincibilità”.
Un delirante senso d’onnipotenza che dilaga con irrefrenabile veemenza tra i giovani camorristi, sempre più sfrontati, invasati, incattiviti, sempre più convinti di poter disporre della vita di tutti come meglio ritengono e soprattutto di poter decretare la morte di chiunque e per qualunque motivo o anche senza alcun motivo.
Una moda lanciata ed esibita dai giovani della periferia “più calda” di Napoli in termini di criminalità organizzata: Ponticelli.
Una scelta stilistica che si colloca giusto a metà strada tra “i simboli distintivi” dei due clan che in passato si erano avvalsi proprio dei tatuaggi per battezzare ed identificare i loro affiliati.
“Bodo” e “Fraulella”: i rispettivi soprannomi dei boss del clan De Micco e D’Amico, entrambi tatuati su migliaia di corpi, quelli dei loro fedelissimi. Ragazzi che in loro identificano modelli da seguire e rispettare, oltre che capi indiscussi ai quali sottostare per assecondarne richieste ed ordini.
Mentre, i ragazzi del clan di Bodo esibiscono quel soprannome accompagnato da pistole ed ideali, quali: “rispetto”, “lealtà”, “onore”; i gregari del clan di Fraulella prediligono i proiettili.
Il richiamo ai valori ai quali facevano riferimento i primi, frammisto a quella che potrebbe essere definita “l’estremizzazione” dei proiettili tanto amati dai secondi, rendono impossibile stabilire con assoluta certezza se effettivamente si possa trattare di un nuovo “simbolo distintivo” di uno piuttosto che dell’altro clan.
L’assenza dei soprannomi dei leader accanto ai tatuaggi che esibiscono ferite da armi da fuoco, però, potrebbe rappresentare la mutata volontà rispetto al passato di “camuffare” il nome del clan di appartenenza e in virtù della sanguinaria faida che tiene banco tra le mura del quartiere, le motivazioni sono più che plausibili e comprensibili: tra gli affiliati finiti in carcere e quelli uccisi dalle bande rivali, le mani a servizio del sistema rappresentano una risorsa preziosa che deve essere preservata con accortezza. Eppure, quella temeraria sfrontatezza esibita dall’eterna ferita scalfita sul corpo, rilancia la pronta ferocia dei fedelissimi “guerrieri” del clan, pronti a tutto, pur di difendere le sorti dell’organizzazione e conquistare lo scettro del potere criminale.
Più forti degli spari e pronti a sfidare qualsiasi sorte pur di portare a termine i loro compiti: questi sono i “nuovi giovani” della camorra, sempre più tatuati, sempre più cinici e spietati.