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Ponticelli, quattro agguati in tre mesi: dov’è lo “Stato”?

Luciana Esposito di Luciana Esposito
10 Marzo, 2016
in In evidenza, News
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Agguato a Ponticelli: ucciso vigile urbano nel Rione Incis
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untitledQuattro agguati messi a segno dall’inizio del 2016: questo il bollettino di guerra che sintetizza il clima di legittima apprensione che si respira a Ponticelli.

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Il quartiere della periferia orientale di Napoli, nuovamente imbrigliato in una faida di camorra, difatti, sembra non aver tratto beneficio dallo sbarco dell’esercito che presidia in pianta stabile alcune zone del quartiere.

In pianta stabile, per l’appunto.

Tutti sanno dove sono collocati i militari ed ancor più che possono essere definiti tendenzialmente inoffensivi.

Un posto di blocco che presidia in maniera piuttosto statica dei punti definiti “critici”: semplicemente questo e null’altro rappresenta la presenza dei militari promessi ed inviati a destinazione dal ministro Alfano.

Una presenza che si vede, ma che non si sente: questo sottolinea l’estrema disinvoltura con la quale si spara, ancora, tra le strade di un quartiere storicamente in balia di criminalità e camorra, ma che negli ultimi tempi sta palesando un’eccessiva predisposizione agli agguati.

Quattro morti ammazzati negli ultimi tre mesi: una media decisamente alta, soprattutto se si considera che i killer non sembrano farsi alcuno scrupolo se c’è da sparare per strada, in pieno giorno, tra bambini e gente comune estranea alle dinamiche criminali, ma “colpevoli” di vivere in un luogo in cui “non si può campare quieti.”

La presenza dell’esercito sta dimostrando di non essere recepita né come un deterrente da parte della criminalità organizzata né tantomeno come uno strumento di effettivo supporto al lavoro delle forze dell’ordine presenti sul territorio.

Invero, l’esiguo numero di pattuglie e uomini in divisa operativi a Ponticelli, rappresentano uno dei reali problemi ai quali guardare per strutturare un piano di sicurezza realmente efficace.

Una carenza che la cittadinanza sottolinea da tempo immemore, perché stanca di accorrere in soccorso di nipoti o figli o fratelli adolescenti derubati sul corso principale il sabato sera dai soliti ladruncoli che con fare “guappesco” troneggiano lungo le strade del quartiere in sella a fragorosi scooter piuttosto che a piedi, irrispettosi e noncuranti di tutto e tutti.

Sono ancora loro, i ragazzi cosiddetti “difficili”, a vandalizzare le pensiline dei bus e ad ammazzare la noia prendendo a sassate i bus di linea o mettendo a segno “marachelle” di vario genere. Quest’ultimo aspetto rappresenta solo la punta dell’iceberg del reale e complessivo problema, ma la condotta di quei ragazzini ben rispecchia ed interpreta la cruda realtà dei fatti che trova nel dilagante senso d’impunità il vero nodo cruciale della questione.

“Se vedo una pattuglia, aspetto che si allontana e poi agisco” è un concept che “da grandi” si converte in “posso pure sparare a un uomo in pieno giorno, perché tanto nessuno “mi canta”, perché tutti hanno paura della camorra e sanno che è meglio farsi i fatti loro”.

Ragazzini che vedono in quel modus operandi “la palestra” che gli consentirà di farsi le ossa per ambire al conseguimento di quello stile di vita, oltre che della temibile rispettabilità che vedono tributare ai killer e agli attuali uomini di camorra, interpreti di una trama che, a sua volta, si fa sempre più intricata e distorta.

Tra le strade del quartiere, infatti, si sta assistendo ad uno storico ribaltamento di fronte, generato da un’autentica rivoluzione ideologica che ha cambiato la figura e l’indole dell’uomo di camorra.

Dai severi dogmi alla base del codice d’onore che ha contraddistinto per decenni l’operato del clan Sarno, si è passati alla camorra 2.0 portata in scena da “giovani sempre più giovani e tatuati”.

In verità, la realtà dei fatti ha visto mutare interpreti, atteggiamenti, stile ed ideologie, ma non la sostanza: si continua a sparare, si continua a morire e la gente comune continua ad avere paura.

Dov’è lo Stato?

E per Stato s’intende quello disposto a scendere in campo per osteggiare la criminalità e non quello idealmente schierato accanto all’esercito, sommessamente inerme, intento a “godersi lo spettacolo”.

Guardando senza schermi né remore o riluttanze la cruda realtà che attualmente contraddistingue la storia contemporanea del quartiere, sembra quasi che Ponticelli sia uno Stato a sé, dove regnano politica, dinamiche e regole diverse rispetto a quelle che designano le sorti dell’Italia e perfino delle restanti porzioni della città.

Se “il vero” Stato italiano intervenisse, allora sì che a Ponticelli potrebbe ripristinarsi un livello di legalità e vivibilità ottimale e dignitoso.

Questo lo sa bene la camorra, ma ne è ancora più consapevole “lo Stato”.

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