“Una parte che fa e l’altra che disfa”: questa l’essenza più contraddittoria dell’anima di un popolo che trova nell’attuale stato delle mura del Museo Archeologico Nazionale di Napoli la sua più eloquente espressione.
Riverniciate di recente e ben presto vandalizzate, di tutta risposta.
Una tempestiva replica al decoro da parte dei “soliti vandali” che amano munirsi di vernice spray per apporre graffiti, simboli, scritte e scarabocchi vari non solo sulle pareti, ma anche su monumenti ed opere d’arte.
Una condotta condannata severamente, in primis, dai writers degni di definirsi tali che si battono per diramare tra gli esponenti della street art, – ovvero, quella che è da considerarsi un’autentica corrente artistica e culturale, – un messaggio imprescindibile: rispetto per le opere d’arte, quale assioma fondamentale sul quale ancorare la filosofia che anima ispirazione ed intenti di chi abbellisce e non imbratta.
Dall’altra parte c’è la sfrontata noncuranza di chi in maniera scellerata e spocchiosa appaga quel narcisistico senso di vanità che anima le gesta di chi rivendica la sua supremazia artistica sul territorio attraverso una firma o un simbolo distintivo.
A pagarne le spese è il senso del decoro al quale la parte sana della cittadinanza auspica: quella che si compiace nell’ammirare le mura del museo Archeologico Nazionale di Napoli completamente tirate a lucido e che non può fare altro che indignarsi al cospetto di quel repentino raid vandalico che di “artistico” o “apprezzabile” non ha proprio nulla.
Un braccio di ferro che potrebbe protrarsi all’infinito quello che pone a confronto le due correnti di pensiero contrastanti che serpeggiano tra le strade cittadine, dividendo uno spazio fisico, ma rivelandosi sempre più incapaci di “condividere”. Una realtà estensibile a ben altre tematiche e problematiche e che trova in quel graffito che imbratta le mura del Museo Archeologico Nazionale la sua più snervante e consapevole espressione.