Vincenzo e Gaetano, due ragazzi di rispettivamente 18 e 23 anni, cresciuti insieme tra le regole e le strade del Bronx, uno degli scorci più critici del quartiere San Giovanni a Teduccio. Frequentavano lo stesso oratorio, si conoscevano da quando erano bambini. Due vite parallele che viaggiano lungo i binari di un destino incerto e che durante la notte a cavallo tra il 4 e il 5 febbraio 2016, ha sancito il suo feroce epilogo. Una vita stroncata, l’altra irreversibilmente segnata dallo strazio che in eterno è destinato a rimanere inciso in quegli occhi, testimoni oculari di un’esecuzione brutale, messa a segno proprio ai danni di quell’amico di sempre.
«Ho deciso di collaborare con la magistratura perché ho capito che il clan Formicola voleva uccidere anche me»: con queste parole Gaetano Nunziato, il giovane che nei giorni scorsi ha assunto un ruolo determinante nelle indagini volte a far luce sull’omicidio del 18enne Vincenzo Amendola, portando gli inquirenti sul luogo in cui giaceva il cadavere dell’amico d’infanzia, barbaramente ucciso davanti ai suoi occhi.
«Avevo accettato di far parte del clan lo scorso gennaio- ha spiegato Gaetano – ma volevo occuparmi solo di droga ed estorsioni. Loro invece mi hanno coinvolto nell’omicidio di un amico».
Le dichiarazioni del collaboratore sono contenute nel decreto di fermo emesso nei confronti di tre persone, gli altri due, attualmente latitanti, avrebbero ricoperto il ruolo principale nell’assassinio di Vincenzo.
Gaetano ha ricostruito gli ultimi attimi di vita di Vincenzo: «Lo fecero salire sullo scooter, io a mia volta fui fatto salire dietro di lui. Piangeva. Diceva: se dovete picchiarmi, picchiatemi adesso».
Amendola, che aveva appena 18 anni, è stato punito perché aveva una relazione con la moglie di un boss del clan Formicola. Quando fu condotto sul luogo dell’esecuzione, un terreno alle spalle del parco Troisi, la fossa per lui era già stata scavata. Vincenzo capì e pianse, supplicando pietà. Il primo colpo lo raggiunse a uno zigomo ma non fu mortale. «Si rialzò e sempre piangendo disse: che fai, mi spari a un occhio? Lui – il killer che è uno dei due ricercati, ndr – gli sparò di nuovo e capimmo che era morto. Anche io ebbi una crisi di pianto ma mi dissero di non pensarci più».
Poi, per esorcizzare le emozioni legate al momento, Gaetano e uno degli assassini, si scattano un selfie dopo la morte di Vincenzo, proprio con il cellulare della vittima.
Un delitto che lascia emergere la turpe realtà che imbriglia quei contesti come il Bronx, terre di nessuno, terre dominate da dinamiche imprevedibili.
Il 18enne ha compiuto quel genere di gesta che secondo le regole che dettano legge in contesti come il Bronx non possono essere punite diversamente: Vincenzo ha pagato con la vita il fatto di essersi vantato di avere avuto una relazione con la moglie del boss del clan Formicola.