La camorra che non ti aspetti: quella che sovverte e le regole alla base del codice d’onore per fornire un assist facile ed inaspettato alla giustizia. Questo è quanto andato in scena nell’aula 315 della Corte di Assise d’Appello, nell’ambito del processo a carico di Cesare Pagano, imputato per gli omicidi di Carmine Amoruso e Savatore Dello Ioio, maturati nel 2005, quando gli scissionisti – dopo aver sopraffatto il clan Di Lauro al culmine della sanguinosa faida che sorti un’autentica guerra di camorra che coinvolse prettamente l’area a Nord di Napoli – a uccidere i killer di Mugnano ritenuti poco affidabili. Parla dalla videoconferenza, rompendo sei anni di silenzio imposti dal carcere duro, scontati nel bunker di Ascoli Piceno.
«Mi dissocio, voglio tagliare i ponti con la camorra e accusarmi dei delitti che ho commesso».
Ancora una volta, nonostante la dissociazione sia tuttora una formula non contemplata nel piano giuridico del nostro Paese, si riconferma l’opzione più quotata tra gli uomini del clan finiti dietro le sbarre. Venticinque anni dopo i tentativi di dissociazione di Angelo Moccia e di altri boss della Nuova famiglia, anche Cesare Pagano torna a chiedere la possibilità di dissociarsi. Niente accuse a parenti e affiliati, dunque, ma piena confessione dei reati consumati: non mi pento, ma abbasso la guardia. Sorpresa da parte della difesa di Pagano, rappresentata in aula dai penalisti Luigi Senese e Saverio Senese, mentre la Procura va all’incasso.
Confessa e detta la linea, chiede perdono e si autoaccusa. Si rivolge alle famiglie delle vittime e annulla ogni sforzo difensivo, nel momento chiave di un processo che lo vede imputato di due omicidi. Dice: «sono io il mandante, chiedo scusa a tutti, chiedo scusa alla famiglia delle vittime, è stata una mia iniziativa».
Ma torniamo all’udienza di ieri mattina. Condannato all’ergastolo in primo e in secondo grado, Pagano aveva esultato dopo la Cassazione, che aveva rimandato gli atti a Napoli. Nuova udienza in assise appello, si va dinanzi alla sezione coordinata dal presidente Domenico Zeuli, il colpo di scena arriva in tarda mattinata. Alle prese con una condanna definitiva a venti anni e in vista di una possibile (anche se non scontata) condanna all’ergastolo, Pagano chiede di parlare: «Ho fatto uccidere io Amoruso e Dello Ioio, chiedo perdono, mi dissocio». Gelo dentro e fuori l’aula di giustizia, non è un pentimento, ma la scossa di terremoto fa in fretta ad arrivare tra Melito e Arzano e nelle altre zone dove i Pagano (legati a Raffaele Amato) continuano a macinare soldi dalle piazze di spaccio e a riciclare. Contro Pagano, undici pentiti, frutto delle indagini del pm Castaldi, ma anche ricostruzioni che inchiodano il presunto boss degli scissionisti, il capo dei cosiddetti «spagnoli».
C’è soddisfazione da parte del pool anticamorra – coordinato dal procuratore aggiunto Filippo Beatrice e dai pm Stefania Castaldi, Maurizio De Marco e Vincenza Marra – ma risulta altrettanto chiara la posizione dei pm: niente patti, niente compromessi – sembra di capire – esiste una sola strada da percorrere ed è la collaborazione piena con lo Stato. E non è tutto. Alla sbarra, in videoconferenza, Carmine Pagano, nipote del numero uno degli scissionisti, Cesare, chiede la parola, il presidente acconsente. Il giovane rampollo confessa la propria responsabilità nel duplice delitto per cui è imputato e si rivolge alle famiglie delle vittime: «Chiedo perdono, soprattutto ai vostri figli, perché anche io sono orfano di padre».
Carmine pagano è il quarto, in successione cronologica, a decidere di ammettere le proprie responsabilità. Nelle scorse udienze avevano confessato altri pezzi da novanta della paranza dei nemici dei Di Lauro, «gli scissionisti della prima faida»: Gennaro Marino detto mckkei, Ciro Mauriello e Arcangelo Abete hanno ammesso di aver partecipato a quel duplice omicidio che segnò l’inizio della strage, la doppia esecuzione, nel 2004, di Fulvio Montanino (amico strettissimo di Paolo di Lauro, alias Ciruzzo ‘o milionario) e Claudio Salerno.