“Il brasiliano”: così lo chiamavano tutti Bruno Umberto Damiani, l’unico nome fin qui accostato all’omicidio di Angelo Vassallo. Tutti sapevano chi era quel ragazzo dal fisico possente e gli occhi di ghiaccio, il cui soprannome derivava dalla sua discendenza “meticcia” italo-brasiliana.
Un personaggio intorno al quale aleggiavano tante storie: in primis, la leggendaria maxi-rissa che lo vide protagonista in età adolescenziale sul molo di Acciaroli, nell’ambito della quale, con un salto nel vuoto di una dozzina di metri, atterrò direttamente nel parabrezza dell’auto del suo “rivale”, dando luogo ad una scena degna di un film d’azione. In quegli anni, il nome del brasiliano era accostato principalmente ad episodi simili, riconducibili soprattutto alle piste da ballo più gettonate della movida cilentana. Già perché, Bruno “il brasiliano” era una vecchia conoscenza del parterre estivo acciarolese, in quanto la sua presenza lungo quelle coste risale a molti anni prima dell’ultima e concitata estate vissuta da Vassallo.
In seguito ad una rapina messa a segno in un supermercato del salernitano, fu identificato grazie all’ausilio dei filmati delle telecamere di videosorveglianza e pertanto tratto in arresto e quindi il brasiliano mancava da diversi anni, quando, dopo aver scontato la pena, riapparve ad Acciaroli, nell’estate del 2010.
Il carcere aveva tutt’altro che smussato l’indole violenta e la predisposizione a delinquere, il brasiliano era tornato ad Acciaroli con un obiettivo ben preciso: detenere il controllo dello spaccio di droga.
L’apertura di un locale notturno decisamente in distonia con il più pacato spirito di divertimento che aveva fin lì contraddistinto le ore notturne lungo le coste acciarolesi, quell’estate rappresentò un forte richiamo per tanti giovani, anche dei paesi limitrofi. Un’autentica piazza di spaccio a cielo aperto affiancata da un altrettanto prolifero mercato della prostituzione sfrontato, spudorato, ostentato.
Angelo Vassallo era lì, tutte le sere, aveva inviato innumerevoli segnalazioni di aiuto alla Questura di Salerno, oltre che alle stazioni locali, ma nessuno aveva dato il giusto peso a quelle richieste. In maniera più o meno consapevole sarà la magistratura a stabilirlo. E, allora, Vassallo si mise a fare il “sindaco sceriffo” affrontando a muso duro gli spacciatori. Proprio sul porto di Acciaroli, nel cuore della movida, in più di un’occasione, tra il brasiliano e Vassallo volarono parole pesanti.
Il brasiliano arrivò a minacciare di morte il sindaco. Lì, tra una bottiglia di Belvedere e il luccichio delle paillettes dei succinti top delle squillo. Proprio lì, in mezzo a quell’autentico incubo franato nel sogno meticolosamente realizzato e salvaguardato da Vassallo.
Il brasiliano seguitava a palesare un atteggiamento sfrontato, di sfida, altamente provocatorio, anche e soprattutto quando si aggirava tra le strade del paese. A bordo della sua potente moto transitava lungo le aree pedonali, pur consapevole della presenza delle telecamere e lo faceva a viso scoperto, perché voleva essere riconosciuto, perché voleva che tutti sapessero che il brasiliano sottostava solo alle “sue” regole e che “Acciaroli era sua”. L’episodio più emblematico che lo vide protagonista durante quell’estate fu il violento pestaggio di un turista straniero che dopo aver alzato un po’ il gomito, camminava barcollando tra i vicoli di “Acciaroli vecchia”. L’uomo ebbe la sfortuna di franare proprio addosso a Bruno che, di tutta risposta, gli sferrò un pugno in pieno viso, spiaccicandolo al suolo, privo di sensi.
Gli avventori presenti a ridosso del bar sito a pochi metri di distanza dal luogo in cui era maturata la scena chiamarono prontamente un’ambulanza, mentre il brasiliano si dileguò nel buio della notte, ma per giorni, poi, ha rivendicato con orgoglio la paternità di quell’aggressione.
Il business del brasiliano si estendeva ben oltre il porto di Acciaroli, tant’è vero che durante le “serate di cartello” era solito spostarsi lungo le poste da ballo più quotate del Cilento. Proprio a ferragosto, all’interno di una celebre discoteca cilentana fu accoltellato più volte nell’ambito di una rissa. I testimoni che hanno assistito alla colluttazione raccontano scene agghiaccianti: il brasiliano era come indemoniato, continuava a colpire i suoi aggressori, anche mentre gli sferravano le coltellate. Il sangue zampillava dalle ferite, ma il brasiliano continuava a colpire, “come se fosse posseduto dal diavolo”. Nei giorni seguenti, il brasiliano continuava ad aggirarsi tra le strade di Acciaroli, esibendo con orgoglio le vistose fasciature che gli tamponavano le ferite.
Una vita tormentata, ricca di eccessi e contraddizioni: un avvio da calciatore promettente durante il periodo adolescenziale, un sogno probabilmente finito male, sfociato poi in una palpabile “predisposizione a delinquere”. Il brasiliano era anche padre e dilazionava il suo tempo tra il Sudamerica, la periferia nord di Napoli e il litorale Domizio. E il carcere, ovviamente. Quello, in certe storie di vita, è una tappa obbligata.
Bruno, invero, appariva più come un bullo di periferia che con la forza dei muscoli giungeva lì dove non sapeva imporsi con la ragione, non può essere definito una “mente acuta”, una figura criminale di spessore. Probabilmente ambiva a conseguire quella carica e forze per questo rappresentava il miglio sicario al quale affidare il “lavoro sporco”. Il senso di “rivalsa personale” che avrebbe conseguito con la messa in pratica della vendetta contro quel sindaco che gli aveva rotto le scatole per tutta l’estate; il fascino di una lauta somma di denaro alla quale di certo il brasiliano non avrebbe detto di no, a fronte del fatto che durante quell’estate più volte e in più circostanze aveva “pianto miseria” elencando le difficoltà con le quali un padre si relaziona nel sostenere le spese necessarie per crescere dei figli. Queste le probabili motivazioni che hanno indotto Bruno Damiani a premere il grilletto.
A supporto di questa tesi c’è soprattutto l’atto di vanto praticato dal fratello del brasiliano che nell’ambiente del malaffare salernitano “si era andato atteggiando” del fatto che fosse proprio suo fratello Bruno ad aver ucciso Vassallo.
Già, Bruno il brasiliano, una figura fin troppo esposta contro Vassallo, oltre che un personaggio dall’indole notoriamente violenta: l’identikit ideale dietro il quale nascondere eventuali altri moventi, esattamente come sta accadendo.
I probabili aguzzini di Angelo Vassallo, infatti, rischiano di rimanere impuniti, proprio perché fin troppo abili nello scegliere “il killer perfetto”.