Si è tenuto ieri presso la sede dell’Orientale di Palazzo du Mesnil in via Chiatamone a Napoli, un convegno sulle nuove scoperte archeologiche a Cuma portate avanti dai ricercatori dell’Orientale e in particolare da un gruppo di studiosi, coordinato da Marco Giglio, assegnista di ricerca in Archeologia classica, che vede il coinvolgimento anche di Stefano Iavarone e Giovanni Borriello, entrambi dottorandi in archeologia.
“Il sogno di ogni archeologo delle ceramiche è trovare una discarica di questi materiali ed è quello che è accaduto a noi”-racconta Marco Giglio sulle pagine del Mattino, che da due anni con il gruppo dell’Università Orientale di Napoli sta studiando ottantamila reperti.
Principale novità nell’ambito dei lavori di scavo nell’area di Cuma, che sono in corso da molti anni e che hanno riportato alla luce solo il 10% del territorio, è infatti il ritrovamento di reperti, nell’area a ridosso dello stadio e della porta settentrionale della città, che dimostrano la presenza di officine produttive di ceramica a Cuma. Officine attive per tre secoli, almeno fino al II secolo dopo Cristo. I reperti ritrovati testimoniano una fase dell’intensa attività produttiva di età augustea.
Tra i vari reperti, da annoverare il ritrovamento di diverse tipologie di ceramiche, in particolare quelle verniciate,che grazie alla qualità dei materiali, si diffusero in tutto il bacino del Mediterraneo, dalla Spagna al nord Africa, arrivando anche in Francia e Germania settentrionale e che il celebre Apicio,gastronomo dell’Antica Roma, raccomandava per realizzare le sue ricette.
Le ceramiche giudicate imperfette per la vendita venivano appunto gettate in discarica, e ritrovarle seppur a pezzi dà la possibilità agli archeologi di capire quali fossero i metodi di lavorazione e quindi il livello qualitativo di questi ricercati manufatti.In particolare i ricercatori si sono concentrati sullo studio della produzione di ceramica a vernice rossa interna, le cumanae testae,una sorta di teglie con fondo antiaderente, ottenuto grazie a un particolare rivestimento interno, utile a creare una superficie spessa e liscia che evitava ai cibi cucinati di attaccarsi al fondo delle padelle. Queste erano utilizzate per la cottura a fuoco lento di determinati alimenti, soprattutto a base di carne. Esse sono dunque le antesignane delle moderne pentole antiaderenti.