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Mario Volpicelli: storia dell’ultima vittima di camorra e di “quella mentalità”

Luciana Esposito di Luciana Esposito
1 Febbraio, 2016
in Cronaca, In evidenza
1
Mario Volpicelli: storia dell’ultima vittima di camorra e di “quella mentalità”
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data=RfCSdfNZ0LFPrHSm0ublXdzhdrDFhtmHhN1u-gM,qUP3AMR9u4Pz8JhPtAeRYRNqlsus0aUeAZy7HuaXLS5RxGGMfEhEQLCGAh2Z7u8Z5TuAGrq9hAEmSY_RicPl2LS6XpN9bIJ1aoDncfhQwMhoduBHdDmZfSwpAVpOirPer raccontare l’essenza dell’anima di un morto è importante capire chi era veramente da vivo.

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Il 53enne Mario Volpicelli, ucciso come un boss, lo scorso sabato sera, 29 gennaio 2016, a Ponticelli, di certo, non era un boss.

Lavorava come commesso nel più quotato dei “tutto a 50 centesimi” e per questo nel quartiere lo conoscevano in tanti. È difficile presumere che “un uomo del sistema” possa trascorrere parte integrante delle sue giornate in un piccolo negozio stracolmo di prodotti.

Secondo la logica del business costretto ad adattarsi alle dinamiche imposte all’economia dalla crisi, la quantità di merce esposta è direttamente proporzionale alla “necessità di vendere”. Mario lasciava che la disperazione generata da quel precario stato di cose venisse urlata dai prodotti per la casa e suppellettili varie esposte nel suo piccolo regno, mentre, con decorosa dignità sistemava gli scaffali e “spicciava la gente”.

Mario era un padre di famiglia, “macchiatosi” della colpa di essersi innamorato di Mariarca, quella che non potrà mai essere considerata una donna qualunque, in virtù di quel cognome “pesante e pericoloso”: Sarno.

Mariarca è la sorella del boss Ciro, soprannominato “’o sindaco”, per aver amministrato “le case occupate” di Ponticelli dopo il terremoto dell’80.

Difatti, quell’astuta manovra, portò al boss due sostanziali vantaggi che costituirono i capisaldi sui quali il clan ha erto il suo impero, durato circa un trentennio. Il rispetto e l’ammirazione del popolo, la compenetrazione, solida e sicura, del tessuto criminale nelle case popolari della zona, fino ad imporre il proprio dominio e a creare il proprio quartier generale nel Rione De Gasperi: l’ascesa del clan Sarno passa attraverso queste due mosse cruciali.

Già, il Rione De Gasperi, è lì che Mario è morto, mentre rincasava stringendo tra le mani le buste della spesa, consegnando inconsapevolmente una delle scene più consuete della vita di un uomo comune, barbaramente straziata dalla ferocia criminale che ha rispettato l’ordine di porre fine alla sua esistenza conficcandogli tre pallottole in testa. O “tre confetti”, come si suol dire nel gergo camorristico. Un’esecuzione da boss, come detto, eppure inferta ad un “semplice” uomo comune.

Mario, con la sua storia e il suo epilogo, personifica la condizione di tanti cittadini del quartiere: nel suo caso, “le aggravanti” si addizionano, in virtù della parentela con “il clan di Bodo”. Volpicelli, infatti, era lo zio di Gennaro De Micco, stimato essere uno dei sicari più spietati del clan, in lotta con i D’Amico per stabilire “chi deve comandare a Ponticelli”.

Questa “temibile” associazione di fatti e persone non autorizza ad avanzare illazioni in merito all’integrità morale di Mario. Eppure, questa forma mentis, che da tempo immemore emette sentenze e condanne ben più severe di quelle impartite dalla legge, rappresenta uno degli aspetti più beceri ed ignoranti del modo di essere ed agire di una certa frangia di cittadinanza.

Quella che condanna le “eterne ragazze madri”, quelle che spalancavano le porte delle loro camere da letto agli “scagnozzi” dei Sarno che scorrazzavano lungo le strade del quartiere a bordo di fragorose motociclette, con “il ferro” in bella mostra e con fare spocchioso. Tuttora, quelle ragazze, “vittime del fascino criminale” e i loro figli, non potranno mai scrollarsi di dosso la pesante etichetta che segna le loro vite.

Così come, il Rione de Gasperi, quel luogo che per decenni ha rappresentato la roccaforte dei Sarno, teatro dell’ennesimo agguato di camorra, difficilmente potrà ripulirsi da quella sanguinaria fama.

Quel Rione rappresenta l’emblematica testimonianza degli errori dell’urbanistica degli anni ‘60/’70, dello zoning come strumento di pianificazione, nonché della cattiva gestione successiva.

L’intera area, organizzata in rioni-dormitorio, vere e proprie enclaves separate da strade a scorrimento veloce, a cui si aggiunge la cesura operata dalla linea ferroviaria, poneva innanzitutto un problema di vivibilità e sicurezza. Una sorta di disastro annunciato, che non ha tradito le aspettative e che seguita ad esibire scene e scenari a supporto di quella indecorosa fama.

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