“Urban Icons. The Democracy of the Wall” di Francesco Cabras, fotografo e regista, inaugura lunedì 1 febbraio alle ore 17. Ospite del Castel dell’Ovo a Napoli, la personale nella città di Partenope propone un progetto fotografico sviluppato dall’artista attraverso il Libano, la Palestina e Israele. Dall’osservazione dei manifesti affissi al muro che ritraevano politici locali o noti globalmente insieme a persone sconosciute ai più ma assurti a gloria o condanna estemporanea per essere stati vittime o aggressori dei conflitti
nazionali, Cabras notava che la sovrapposizione, la vicinanza dei personaggi ritratti e la deperibilità nel tempo dei manifesti stessi, rendevano presente e passato, anonimità e celebrità al pari livello.
“Soprattutto struggente– racconta Francesco Cabras –era il potere democratico e pietoso che il muro restituiva loro dopo una vita da combattenti, da dominatori o da dominati. Una pietà e una sorta di uguaglianza marchiata dall’affissione e dal decadimento del tempo davanti agli occhi di ognuno poiché la strada si trasformava di fatto in un corridoio pubblico dove tutti diventavano uguali sotto i colpi della pioggia, degli strappi e degli spray. Allora ho pensato che valesse la pena trovare, fermare e interpretare quei manifesti cioè quegli uomini, prima che scomparissero per sempre dalla vista per far spazio ad altri probabilmente“.
Ponendosi tra il Nouveau Realisme di Jacques Villegle, Raymond Hains, Mimmo Rotella e i manifesti strappati a Tokio di William Klein, tra la ricerca artistica e la progettazione fotografica, Cabras ha ritratto i cartelloni di attentatori suicidi, leader politici, vittime di attentati, Hezbollah, cristiani, combattenti e civili. Tra questi si riconoscono immagini evanescenti di Bashar Al Assad il presidente della Siria e di Giovanni Paolo II, di Arafat e di Ahmed Yassin il fondatore di Hamas, volti di Madonne e di ignoti.
Con questo progetto fotografico Francesco Cabras ridona al muro l’essenza di puro supporto d’allestimento di una immaginaria esposizione pubblica dove la strada è il contenitore/galleria di manifesti, che ritraggono persone sconosciute o famose, che il tempo corrode e intacca, vanificando e annullando il concetto di simbolo. Un muro/supporto che diventa non più divisorio, ma aggregante e unificante almeno sotto l’aspetto dell’uguaglianza riconsegnata dal tempo e dagli interventi umani ai personaggi dei cartelloni.