Un antico e forse mai superato pregiudizio, quello che diversifica “i signori della Napoli bene” dai “criminali della periferia”, rappresenta una delle più grandi contraddizioni che anima l’identità di un popolo che s’indigna quando si vede e si sente discriminare dai settentrionali, ma che, tra le sue stesse mura, pratica una becera e marcata forma di razzismo.
La storia di questa città consegna una copiosa quantità di articoli di giornale e servizi televisivi che documentano il persistere di questa forma mentis discriminatoria, altamente discriminatoria, nei confronti della gente perbene che si vede risucchiata nella melma solo perché non può permettersi una casa nella zona collinare della città, mentre, di contro, innumerevoli ed autorevoli malavitosi, grazie ai soldi guadagnati attraverso attività illecite, hanno potuto concedersi il lusso di accaparrarsi una tenuta signorile lungo le strade dei quartieri più facoltosi della città.
Un luogo comune che denigra ambedue le parti chiamate in causa e che non rende giustizia all’effettiva ferocia ricoperta dal “problema criminalità” che seguita a tenere in ostaggio la quiete cittadina estendendosi a macchia d’olio, senza distinzione di colpi, status sociali, quartieri e qualsiasi altro genere di classificazione.
La camorra, la criminalità, la violenza serpeggiano ovunque.
A rilanciare l’antica disputa ci ha pensato l’episodio maturato nel cuore della movida di Chiaia lo scorso venerdì, laddove un giovane di Pollena Trocchia ha accoltellato un coetaneo di San Giorgio a Cremano per motivi di gelosia.
Un “regolamento di conti” nato in periferia e maturato lungo le vie della movida della Napoli bene.
L’ennesimo affronto: così viene percepito il suddetto episodio da parte di chi è stanco di subire le angherie delle scorribande di “guappi” che dalle periferie si riversano nel cuore del centro cittadino per fare danni. Perché i ragazzi perbene non vanno in giro con il coltello in tasca ed è inammissibile che debbano esporsi a questo rischio perché “quelli delle periferie” non sanno e non vogliono rigare dritto.
Così, all’indomani dell’ennesimo episodio che macchia di sangue i marciapiedi della movida di Chiaia, sui social così come in ogni sede in cui impazza il dibattito sul tema “movida sicura”, da più parti viene rilanciata la soluzione: “spostate i baretti in periferia”.
Come se la periferia fosse un luogo da recintare e all’interno del quale gettare tutti i mali e le brutture che incombono su Napoli.
Come se il problema possa essere risolto relegandolo alle periferie.
Come se la criminalità e la violenza possano contemplare la possibilità di lasciarsi confinare entro mura meticolosamente circoscritte per non infastidire “i signori della Napoli bene.”
Forse è giunto il momento di spostare effettivamente l’attenzione sulle periferie per risollevare le sorti di quei contesti in cui la gente perbene non vive, ma convive e talvolta sopravvive tra le rovine e le macerie incessantemente procreate dalla criminalità.
Le periferie sono parte integrante di questa città e per giunta ne rappresentano la parte più densa di popolazione e, pertanto, più satura di problemi.
L’emarginazione non è una soluzione. Personifica solo l’ennesimo atto vigliacco e vergognoso.