«Vivere senza Hina sarà per sempre il mio più grande dolore, ma mio marito era e resta l’uomo della mia vita. È giusto che paghi per quel che ha fatto però io l’ho perdonato e non lo abbandonerò mai». Queste sono le parole di Bushra, la madre di Hina, 22enne pachistana uccisa dal padre Mohammed Saleem l’11 agosto 2006 a Sarezzo, in provincia di Brescia.
Proprio con queste parole Bushra Begun ricorda sua figlia Hina, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. Hina è stata brutalmente uccisa da suo padre e sepolta nel giardino della loro casa a Lumezzane, Brescia. L’unica ‘colpa’ della ragazza, che ha scatenato l’ira del padre, il suo stile di vita, considerato troppo “occidentale”.
Hina era una ragazza sveglia, amava l’Italia e l’occidente e aveva deciso di allontanarsi dalle rigide tradizioni del suo paese di origine. Una semplice scelta, insieme a quella di non voler sposare un uomo in Pakistan, che il padre non ha mai accettato, per questo l’ha uccisa a coltellate e nascosta in giardino di casa con la testa rivolta verso la Mecca, con l’aiuto di 2 complici. Una mostruosità difficile da descrivere a parole, anche a dieci anni di distanza, eppure Bushra si mostra comprensiva verso l’uomo che ha sposato, lo stesso uomo che le ha tolto sua figlia.
“Un uomo buono e un padre esemplare, mai una volta ci ha obbligato a fare qualcosa. Quel giorno ha perso la testa in un impeto di rabbia, Hina era una ragazzina bravissima ma era finita in cattive compagnie e avevamo cercato di farglielo capire tante volte. In quel periodo ci chiedeva continuamente soldi e finché abbiamo potuto l’abbiamo aiutata..”. Sostiene la donna, aggiungendo che il marito si è poi subito reso conto di quanto accaduto e che ha seppellito il corpo in giardino per paura, volendo aspettare che il resto della famiglia tornasse dal Pakistan.
Dopo la sua morte, l’immagine del volto di Hina, capelli sciolti senza velo, è diventata emblema della lotta di una donna contro l’integralismo religioso. «Mia figlia – conclude la donna – è diventata il simbolo di una storia di integralismo che non è mai esistita. Quel giorno è stata colpa della rabbia…».
La Corte di Cassazione, nel 2010, ha condannato a 30 anni il padre di Hina, Mohammed così come i due cognati che agirono insieme a lui mentre lo zio, che confessò di aver partecipato alla sepoltura ma non al delitto, ha avuto una condanna a due anni e otto mesi, ad oggi è stato scarcerato.