A pochi giorni dall’imminente messa in onda della fiction ispirata alla vita di Angelo Vassallo, sul fronte investigativo, proprio di recente, l’inchiesta sarebbe giunta ad una svolta: la Procura di Salerno ha iscritto altre tre persone nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio aggravato dalle finalità mafiose.
Avrebbero agito tutti in concorso tra di loro, insieme a Bruno Humberto Damiani, per molto tempo l’unico indagato per l’uccisione del sindaco pescatore. A tutti, dunque, non solo viene contestata l’aggravante dell’articolo 7, ma anche il concorso. Per il momento c’è riservo sui nomi, ma l’ipotesi degli inquirenti è che l’omicidio sia maturato nel contesto dello spaccio della droga. Torna, dunque, insistente la pista che per prima la Procura Antimafia ha seguito e, di fatto, mai abbandonata: che la morte di Angelo Vassallo possa essere legata a quelle attività di spaccio nella zona del porto di Acciaroli, una realtà che Vassallo aveva osteggiato e combattuto schierandosi in prima linea, anche a muso duro. Un giallo ancora e tuttora irrisolto, a distanza di quasi sei anni, infatti, ancora tantissime ombre aleggiano intorno all’omicidio del sindaco-pescatore. E per l’ennesima volta, da quando è stato estradato dalla Colombia, Bruno Humberto Damiani, “Il Brasiliano” viene nuovamente sentito dagli inquirenti.
Il «brasiliano» è stato convocato negli uffici giudiziari lo scorso 13 gennaio. Assistito dai suoi legali di fiducia, Damiani, attualmente è detenuto nel carcere a Secondigliano per altri reati legati alla droga e, nel frattempo, sta anche espiando una pena per la tentata estorsione ad alcuni imprenditori del mercato ittico di Salerno. Bruno, “il brasiliano”, occhi di ghiaccio, fisico possente, fin da subito finito nel mirino degli inquirenti. Tanti indizi, nessuna prova schiacciante a suo carico, resta la figura cardine intorno alla quale ruotano le indagini. Per la seconda volta da agosto, la quarta da quando è tornato in Italia, il «brasiliano» ha risposto alle domande del procuratore aggiunto Rosa Volpe e del sostituto procuratore Marco Colamonici. Domande sempre uguali, necessarie a ricostruire alcuni accadimenti che hanno segnato i giorni precedenti all’assassinio. I legami di Damiani con alcuni personaggi della zona, i suoi contatti con Angelo Vassallo. In particolare i due magistrati hanno insistito nel chiedere al «brasiliano» se avesse del rancore nei confronti del sindaco. A questa domanda la risposta è stata sempre la stessa: «Non potevo avere rancore per una persona con la quale non ho mai avuto rapporti».
La versione di Bruno Humberto è sempre stata la stessa: conosceva Vassallo, lo aveva incrociato qualche volta, ma non aveva mai scambiato alcuna parola se non un formale saluto. Eppure, quell’estate, durante quella che oggi sappiamo essere stata l’ultima estate di Vassallo, più volte i due si sono scontrati a muso duro, proprio lì, sul porto, a ridosso dei locali della movida acciarolese, dove impazzava il business della droga capeggiato dal brasiliano e alla presenza di centinaia di avventori quest’ultimo aveva minacciato di morte proprio Angelo Vassallo. Questo uno dei motivi principali che hanno portato gli inquirenti a mettersi subito sulle tracce di Damiani. In passato altri due nomi «illustri» erano stati accostati ai fatti di Acciaroli, fin dal primo giorno: quello di un ufficiale dei carabinieri, il colonnello Fabio Cagnazzo, a lungo in servizio a Castello di Cisterna dove si è guadagnato la stima di numerosi magistrati napoletani, e di un suo attendente, Luigi Molaro. I due militari erano entrati nell’inchiesta perché, secondo i magistrati, perché nelle ore immediatamente successive al delitto avrebbero portato avanti un’autonoma ed irrituale attività di indagine, acquisendo fra l’altro le immagini di una telecamera collocata in un negozio sul porto di Acciaroli.
Ma la loro posizione fu archiviata. L’inchiesta, in effetti, nell’immediatezza dei fatti fu affidata alla Procura di Vallo della Lucania e poi «trasferita» a Salerno perché ufficialmente affidata all’Antimafia. Nella prima fase, gli inquirenti configurano lo scenario di una «convergenza di interessi» tra affari speculativi e spaccio di droga. Ma una matrice chiaramente mafiosa non è emersa, né sono stati individuati con certezza affari capaci di fornire il movente dell’omicidio.
C’è chi attribuisce proprio ad alcuni errori commessi nella prima fase investigativa i ritardi nella soluzione di un delitto che sembrerebbe essere avvolto da non pochi misteri. A partire dalla pistola, una calibro 9.21 baby Tanfoglio mai ritrovata nonostante fosse stata cercata ovunque. Sono stati effettuati controlli su cento pistole, perquisizioni a tappeto, persino ricerche nelle acque a largo di Acciaroli dove il killer avrebbe potuto gettarla subito dopo il delitto. La pista della droga, infatti, è stata la prima ad essere seguita e continua ad essere la più battuta. Durante l’estate 2010, Acciaroli era stata invasa dallo spaccio di stupefacenti.
Questa situazione rappresentava, per Vassallo, «fonte di preoccupazione e di agitazione al punto da diventare oggetto di confidenze ad amici, parenti e collaboratori», come riportano gli atti investigativi. «Ho scoperto una cosa che non avrei mai voluto scoprire»: questi i timori che Angelo Vassallo avrebbe confidato prima di morire. Il sindaco di Pollica, infatti, avrebbe lasciato agli investigatori una traccia prima di morire e che gli inquirenti stanno cercando di interpretare da quasi sei anni.
Tra gli errori contestati all’avvio delle indagini dall’ex capo della Procura di Salerno Franco Roberti, vi fu anche quella di non aver ben «preservato» la scena del crimine nelle ore immediatamente successive all’omicidio. Così, qualche giorno dopo furono eseguiti gli esami del Dna di tutti quanti erano presenti, investigatori e magistrati compresi: una sessantina in tutto. Accertamenti che, stando alle notizie successivamente trapelate, non avrebbe fornito risultati significativi. Anche perché, come racconta la ricostruzione della dinamica fatta dalla Scientifica sulla base del ritrovamento del cadavere del sindaco, Vassallo potrebbe essere stato ucciso da una persona che conosceva e, probabilmente, che non era avvezza all’uso delle armi. Il suo corpo è stato difatti ritrovato riverso sul volante della sua auto, il finestrino aperto, le chiavi inserite, il freno a mano tirato e il cellulare tra le mani. Chi gli ha sparato ha esploso nove colpi di pistola. Troppi per essere stati sparati da un professionista, secondo alcuni. Ma solo un killer pratico di armi poteva sparare tante volte senza fallire un colpo, ritengono altri. Vassallo potrebbe dunque essersi fermato di proposito a parlare con il suo assassino, a pochi metri da uno dei due ingressi alla sua abitazione.