Alla fine della prima guerra mondiale, a Napoli vi erano ancora moltissimi posteggiatori, tanto che non vi era una trattoria senza la presenza di questi suonatori ambulanti, che rallegravano l’ambiente con le più famose canzoni napoletane e la musica di chitarre e mandolini.
Questa attività, che veniva ricompensata con offerte libere dei clienti, andò velocemente a scemare per due cause fondamentali, lo svilupparsi dei mezzi di diffusione sonora (le trasmissioni radio a Napoli iniziarono nel 1926) e l’imposizione di una tassa da pagare alla SIAE per ogni canzone del loro repertorio. Nella seconda metà del 1800, tra i posteggiatori più conosciuti vi furono Giovanni Di Francesco e Antonio Silvio. Il primo, detto ‘ ‘o Zingariello ‘, nel 1879 fu convinto da Wagner a seguirlo in Germania, come suo menestrello privato, ma poi fu licenziato per averne insidiato la governante. Il secondo, detto ‘Don Antonio ‘o cecato’, fu molto apprezzato da Giuseppe Garibaldi. Fu il primo a suonare la canzone ‘ ‘O sole mio’ e alla sua morte, nel 1893, il suo violino fu acquistato da Giovanni Capurro che ne era l’autore.
Il posteggiatore più famoso fu però Pasquale Jovino detto ‘o piattaro’, perchè da giovane aveva lavorato come decoratore di piatti. Nato nel 1865, a 27 anni fu chiamato a New York a suonare all’inaugurazione del monumento a Cristoforo Colombo, per i 400 anni della scoperta dell’America. Nella sua lunga vita ebbe occasione di conoscere Francesco Giuseppe, re Gustavo di Svezia, Umberto I, la regina Margherita e lo zar Nicola II di Russia che lo volle alla sua corte per riascoltare la macchietta ‘ ‘A risa’, suo cavallo di battaglia.
Nel 1928, E.A.Mario, autore molto prolifico e soprattutto molto attento al mondo in cui viveva, affrontò il tema della posteggia scrivendo la musica di ‘Ddoje paravise’, su versi di Ciro Parente.
E.A.Mario era lo pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta, in cui la E era l’iniziale del suo secondo nome, la A dell’iniziale di Alessandro Sicheri, padrone del giornale ‘Il lavoro’ e Mario lo pseudonimo di un’amica proprietaria del giornale ‘Il Ventesimo’. Durante la sua carriera di musicista, scrisse una quantità di canzoni diventate celebri, tra le quali ‘La leggenda del Piave’, ‘Balocchi e profumi’, ‘Santa Lucia luntana’, e la stessa ‘Duje paravise’.
Protagonisti di questa canzone sono due vecchi posteggiatori, definiti ‘maestri ‘e cuncertino’, che decidono un giorno di andare a suonare in Paradiso. Armati di chitarra e mandolino bussano alla Porta e San Pietro li fa entrare appena sente che sono di Napoli. I due artisti danno voce a tutto il loro repertorio di canzoni con i santi che stanno ad ascoltare, pregandoli di restare sempre con loro. Passato un po’ di tempo però i due musicisti cominciano a soffrire di nostalgia e :
“Mo, San Pié’, si permettite,
nuje v’avimm”a salutá…”
“Site pazze! Che dicite?
Nun vulite restá ccá?!”
“Nuje simmo ‘e nu paese bello e caro
ca tutto tène e nun se fa lassá:
Pusìlleco, Surriento, Marechiaro…
‘O Paraviso nuosto è chillu llá!”
L’autore dei versi, Ciro Parente, aveva originariamente concluso la poesia dicendo: “E n’atu Paraviso nun ce sta”, frase che venne fatta modificare da E.A.Mario, preoccupato dalla reazione della Chiesa che aveva giudicato la canzone blasfema e tramite i parroci aveva attaccato gli autori, vietando ai fedeli di ascoltarla. Ciò nonostante, in pochi giorni ‘Dduje paravise’ si diffuse in tutta la città ed entrò a far parte del repertorio classico della canzone napoletana. Tra i suoi interpreti ci sono stati : Fausto Cigliano, Sergio Bruni, Giacomo Rondinella, Massimo Raniri, Mario Merola e molti altri, oltre ad essere inserito a pieno titolo nel repertorio di tutti i posteggiatori napoletani.