Una fondamentale scoperta scientifica nella lotta ai tumori è stata messa a punto da due scienziati meridionali.
Il beneventano Antonio Iavarone e la barese Anna Lasorella,ricercatori alla Columbia Univesity e marito e moglie nella vita, insieme al loro team hanno individuato il meccanismo che favorisce il mantenimento delle cellule staminali neoplastiche del glioblastoma, il più aggressivo e letale dei tumori cerebrali. Cuore di questo meccanismo è una proteina, chiamata ID2, in grado di attivare una cascata di eventi che promuovono sia lo sviluppo che la progressione del glioblastoma.
In pratica, ID2 come chiarisce Iavarone “consente alle cellule più maligne del glioblastoma di adattarsi a condizioni sfavorevoli, sopravvivere anche in condizioni estreme e continuare a moltiplicarsi senza perdere la sua identità”.
Gli scienziati ritengono che “disattivando” questa proteina si riuscirà a bloccare la crescita del tumore. Proprio bloccando i meccanismi di attivazione della proteina ID2, i ricercatori intendono mettere un freno all’espansione del tumore o prevenirne la ripresa dopo un intervento chirurgico.
Il glioblastoma è il tumore più frequente e maligno del cervello. Colpisce a tutte le età, inclusi i bambini, ma è più frequente tra i 45 e i 70 anni. Purtroppo la chirurgia, combinata ai trattamenti radio e chemioterapici, non è ancora in grado di curare questo tipo di cancro, e la sopravvivenza è in genere inferiore ai due anni. Per questo aumentare le conoscenze sui meccanismi che promuovono il glioblastoma e lo rendono così difficile da curare è l’unica strada per poterlo aggredire più efficacemente.
“E’ evidente — spiega Antonio Iavarone all’ Ansa — che la disattivazione di ID2 priverebbe il tumore di un circuito indispensabile al suo mantenimento. Capire la sequenza di eventi di cui il glioblastoma e probabilmente anche altri tumori umani si sono dotati affinche’ il tumore continui a vivere è un passo importante verso l’ideazione di nuove strategie di cura. Tuttavia, non è ancora una cura ed ulteriori studi sono necessari prima che la nuova scoperta possa tradursi in una terapia».