Lo scorso lunedì, 21 dicembre 2015, contestualmente all’inizio dei lavori che porteranno alla realizzazione della quarta opera di street art nel Parco Merola di Ponticelli, quartiere della periferia est di Napoli, il direttore del nostro giornale, la giornalista Luciana Esposito, ha subito un violento pestaggio da parte di una coppia di coniugi residenti nello stesso parco.
Nelle settimane precedenti, la suddetta famiglia aveva già manifestato ampi segni di “avversione” verso la sua persona, facendole chiaramente capire che la sua presenza non era più gradita in quella sede. In virtù della prima aggressione subita da parte della figlia maggiore della stessa coppia, – per giunta incinta – avvenuta lo scorso 22 novembre, in presenza dei bambini che piangevano terrorizzati, proprio sul campo di calcio per il cui restyling la giornalista si è battuta in prima linea, per preservare la sua incolumità, ha deciso di abbandonare il progetto sociale che per mesi ha portato avanti, rimuovendosi dalla carica di portavoce dei condomini dello stesso parco, avvenuta attraverso una raccolta firme attuata spontaneamente dagli stessi.
Luciana aveva negoziato la sua incolumità rinunciando a denunciare quel primo pestaggio e a proseguire il suo progetto sociale in quella sede, a patto che quell’aggressione non fosse seguita da altri atti intimidatori o da ulteriori azioni di qualsiasi natura volte a ledere la sua persona. Infatti, lo scorso 21 dicembre, Luciana si trovava nel parco Merola in veste di giornalista. Quando è stata aggredita, Luciana era sul posto solo per realizzare un servizio fotografico volto a documentare la realizzazione dell’opera e per concordare un’intervista con l’artista, certa del fatto che, proprio perché aveva chiuso ogni forma di rapporto con quel contesto, non avrebbe corso alcun pericolo, ma così non è stato. Non le è stato reso possibile svolgere il suo lavoro ed è stata costretta ad allontanarsi dal parco per preservare, ancora una volta, la sua incolumità.
Ciò non è bastato ai due coniugi che, nonostante la giornalista si fosse allontanata celermente dal parco, la raggiungevano a bordo della loro auto, mentre a piedi percorreva la strada che costeggia la villa de Filippo, dando luogo ad un secondo pestaggio, in pieno giorno, tra l’indifferenza e l’omertà dei passanti. In merito al grave ed increscioso accaduto, la giornalista Luciana Esposito dichiara quanto segue:
“Fa specie che questa condotta venga adottata proprio dalla famiglia che mi ha spalleggiata, sostenuta e supportata di più nei mesi in cui mi sono battuta per migliorare la vivibilità in quel contesto. Saranno gli inquirenti a far luce sulle reali motivazioni alla base di queste aggressioni.
Ci tengo a precisare che il contributo proferito nell’arco dei sei mesi in cui ho condotto la mia sentita battaglia a tutela dei condomini del parco Merola, era a titolo completamente gratuito, né tantomeno le mie gesta erano motivate da velleità di natura politica. Il mio intento era soprattutto quello di mettere in piedi un progetto sociale volto a fornire un’opportunità ai bambini e ai ragazzi, così come documentato dagli articoli pubblicati durante quest’esperienza.
Al contempo, con le istituzioni avevamo avviato un percorso di riqualifica che stava iniziando a sortire risultati apprezzabili. Ed anche questo è documentato dagli articoli pubblicati durante quest’esperienza.
In virtù di quanto accaduto, ho scelto non solo di allontanarmi definitivamente da quel contesto, ma anche di andare via da Napoli per tutelare ulteriormente la mia incolumità, dopo aver sporto denuncia contro le persone in questione. Ci tengo, inoltre, a precisare di aver consegnato agli stessi condomini del parco i fondi raccolti in occasione della festa della Ceres e che la mia immagine e il mio nome non sono più in alcun modo riconducibili o collegabili a quel contesto. Nel bene e nel male.
La mia rabbia e il mio rammarico non possono essere quantificabili, soprattutto perché in entrambi gli episodi nessuno ha mosso un dito per difendermi. La gente ha paura di esporsi e su quest’omertà quella tipologia di mentalità trova e troverà sempre un fertilissimo terreno nel quale affondare le sue deleterie radici.
La mia storia sintetizza alla perfezione il “macro-problema” che tiene in ostaggio l’evoluzione, sociale, emotiva, culturale, della nostra città. Poteva essere un sogno: bello, genuino, edificante, per l’intero quartiere, per i bambini e per i ragazzi, in particolare, invece, si è tramutato in un incubo, soprattutto per me, ma non voglio, non posso e non devo vivere nella paura. Non sarebbe giusto e vorrebbe dire infliggermi un’ulteriore punizione.
Volevo aiutare quelle persone, dando voce alla loro voglia di riscatto attraverso le pagine del mio giornale, volevo garantire un futuro diverso e migliore a quei bambini, volevo solo fare qualcosa di buono per il quartiere. Non pensavo che questo potesse voler dire mettere a repentaglio la mia vita. Forse sono stata troppo idealista, troppo generosa, troppo stupida. Ma voglio continuare ad esserlo, perché spero di ricevere da “quelli come me” la solidarietà, la vicinanza e il supporto che ho visto tristemente venire meno mentre quella gente mi aggrediva.
Non lasciatemi sola: vi chiedo solo questo. Non voglio diventare un’icona da commemorare o un’immagine esibita su uno striscione dietro il quale sfila un lungo corteo. Il mio esempio, la mia storia, la mia testimonianza possono, anzi, devono rappresentare lo scossone di cui aveva bisogno la coscienza delle persone che desiderano vivere davvero nel segno della legalità per opporsi a questo tipo di realtà.”