La peste è uno dei temi più trattati dalla letteratura europea – da Sofocle a Boccaccio, da Edgar Allan Poe ad Albert Camus, da Alessandro Manzoni ad Antonin Artaud fino a Josè Saramago – tanto da esserne diventata uno dei luoghi mitici. Quella che ha colpito Napoli nel 1656 è stata una delle più terribili. La città, compressa nel ristretto perimetro greco-romano e sviluppatasi in altezza, sovrappopolata e mal censita, fu letteralmente devastata dall’epidemia. La sua storia, anche questa tanto raccontata in letteratura e rappresentata negli spaventosi dipinti di Micco Spadaro, è stata ricostruita da Eduardo Nappi attraverso una minuziosa raccolta di documenti custoditi nell’Archivio Storico del Banco di Napoli, dai quali emerge il dramma collettivo della città e la sua lotta impari contro il contagio, ma emergono anche storie piccole e raramente raccontate, come quella dello stupro di una ragazzina ospitata dalla Real Casa dell’Annunziata e quella dell’eroica “resistenza” dei sedici impiegati del Banco di Sant’Eligio in piazza Mercato, una delle zone più colpite dal contagio, che rimasero in servizio per tutto il periodo dell’epidemia e di cui alla fine ne sopravvisse uno solo. Dai documenti emerge, infine, la storia di una città che è costretta a cambiare profondamente dall’esperienza della malattia e che nei terribili mesi, da gennaio ad agosto del 1656, viene trasformata in un gigantesco cantiere. Risalgono al periodo della peste il cimitero di Santa Maria del Pianto sulla collina detta di Lautrec – in ricordo di un’altra pestilenza che alla fine del Cinquecento mise in fuga l’esercito francese che assediava la città – primo nucleo dell’attuale cimitero di Poggioreale; la costruzione del romitaggio per le oblate di Suor Orsola Benincasa, che oggi ospita una delle Università e il bellissimo affresco che Mattia Preti dipinse su Porta San Gennaro, prima opera di un grande progetto di devozione volto ad invocare la clemenza divina sulla città in ginocchio.
Nello spettacolo Commedia in tempo di peste, la cooperativa En Kai Pan e l’Associazione teatrale Aisthesis incrociano questa storia con quella del teatro, che proprio nel Seicento visse il suo secolo d’oro, attraverso la stagione dei grandi attori di Commedia dell’Arte italiana. Uno di loro, conosciuto con il nome di Capitan Matamoros è rimasto imprigionato in città durante il contagio e, pur di recitare, intraprende un viaggio attraverso i quartieri appestati insieme al suo fedele servo Arlecchino. Durante il viaggio incontrerà diversi personaggi: dai famigerati “cerretani” che vendono medicamenti nelle piazze, a donne murate vive in case dove è stata accertata la presenza della peste, da cinici pittori in cerca di fortuna ai temibili “seggettari” che trasportano i malati negli ospedali fino a confrontarsi con la stessa Morte, che regna incontrastata in città. Sono personaggi reali o sono loro stessi attori? E’ questa la domanda che si faranno gli spettatori che, per l’ultimo appuntamento della rassegna Scene d’archivio, saranno coinvolti in un vero e proprio happening. Grazie alla particolare struttura dell’Archivio Storico del Banco di Napoli, infatti, potranno seguire Capitan Matamoros attraverso un corridoio di stanze che si aprono l’una dentro l’altra, rivivendo le tappe del mitico viaggio degli attori in Europa. Attori, che in quest’epoca cominciano ad essere osannati come divi, ma che vengono anche spesso accostati agli appestati perché il Teatro, come la peste, si trasmette per contagio.
“Commedia in tempo di peste” è una produzione inedita, frutto del lavoro di ricerca su preziose fonti archivistiche custodite nell’Archivio, condotta dalla cooperativa En Kai Pan, mentre l’Associazione Teatrale Aisthesis e il suo regista Luca Gatta, che è anche direttore artistico della rassegna si sono occupati della formazione degli attori attraverso il laboratorio internazionale di composizione scenica “Licos”, una vera e propria residenza teatrale durata quattro mesi.
“Durante il Licos, l’attore studia forme teatrali di differenti tradizioni per poi mescolarle insieme creando così una propria drammaturgia nella quale è però possibile riconoscervi le radici da cui è germogliata – spiega Luca Gatta – uscire dalla propria cultura e porsi all’incrocio delle culture è un atto politico oltre che creativo, è la possibilità di trascendersi per comprendere un’alterità e recuperare la propria autonomia liberandosi dalle gabbie di una tradizione e di una cultura impostaci”.“L’obiettivo centrale del lavoro di Aisthesis è quello di creare un teatro di gruppo che abbia come fine la ricerca di nuove forme espressive e che si fondi sul dialogo transculturale favorendo perciò l’integrazione e l’interazione tra soggetti provenienti da culture ed esperienze differenti” conclude Gatta.
Gli attori, durante il laboratorio Licos, hanno seguito anche le lezioni di Francesca Della Monica, insegnante di tecnica e fisiognomica vocale. “Cantare, recitare una canzone o un testo, richiede all’interprete la necessità di ri-significare a proprio modo ogni intervallo, ogni durata, ogni pausa – afferma Della Monica – cantare significa prestare il corpo al pentagramma, svegliare il processo della memoria che legherà il nostro vissuto, il nostro immaginario e il nostro “essere” a quei segni scelti, così come, per converso, il flusso della memoria attivato dalla parola apre le porte sensoriali, istigando il corpo a farsi presente nella materia vocale”. Questa la filosofia che permea anche il lavoro di Gian Mario Conti, musicista che assieme a Francesca Della Monica ha costruito la drammaturgia musicale per tutti gli spettacoli inseriti nella rassegna “Scene d’Archivio”.
Info e costi per gli spettacoli di “Scene d’archivio”
ingresso libero, prenotazione obbligatoria al numero 339.6235295
mail [email protected], su Fb En Kai Pan