Una chiazza racchiusa in una cornice di gesso che disegna la sagoma di un corpo, attaccati ad uno dei pali che costeggia il marciapiede, un mazzo di fiori e una rosa, rigorosamente bianchi, sui quali è adagiato un biglietto che recita poche parole: “Riposa in pace amico mio”.
Si presenta così via Argine all’indomani dell’incidente costato la vita al 20enne Antonio Masullo ieri sera. Il giovane è stato travolto da un’auto proprio mentre, all’uscita del palazzetto dello sport, intendeva attraversare la strada, in compagnia di suo fratello, per fare ritorno a casa.
Abitava proprio di fronte, Antonio, nel celeberrimo “parco delle cinque torri”, ovvero, il plesso costituito dai perentori cinque palazzi grigi nei quali sono incastonate vistose finestre rosse che delimitano quella che nel gergo locale viene denominata la “rotonda dell’Arin” realizzata nientepopodimeno che dall’illustre artista francese Daniel Buren.
Praticava judo insieme a suo fratello proprio in quel palazzetto dello sport ubicato letteralmente a pochi passi da casa sua. Era abituato, Antonio, ad attraversare quella strada a due corsie e a doppio senso di marcia tra le quali s’interpone un’aiuola adibita a spartitraffico. Anche ieri sera, al termine del consueto allenamento, Antonio avrebbe voluto percorrere quel limbo di strada che lo separa dalla sua abitazione.
La madre era affacciata alla finestra e in un attimo si è vista costretta a ricoprire l’imprevedibile e scioccante ruolo della spettatrice di morte. Impotente, sconvolta, attonita. Nulla ha potuto quella donna per salvare la vita del suo ragazzo, nulla hanno potuto i soccorsi.
Un’auto sopraggiunta proprio mentre i fratelli Masullo stavano attraversando il primo pezzo di strada, li ha travolti in pieno. Antonio è morto, mentre suo fratello è rimasto ferito: dovrà vedersela con una frattura di tibia e perone, oltre che con il dolore relativo alla morte di Antonio.
Una morte sottolineata dalla presenza di quel gesso, ancora vivo, quasi a voler rimarcare la ferocia di una tragedia franata nella vita di un ragazzo qualunque, maturata per mano di un’automobilista dal piede pesante, risultato negativo all’alcooltest. Nel suo sangue, infatti, non è stata rilevata alcuna presenza anomala, né di droghe né di altre sostanze che in qualche modo abbiano potuto concorrere ad alterarne la lucidità. In seguito al violento impatto, l’uomo si è fermato ed è stato tra i primi a prestare soccorso, ma ciò non a bastato per salvare la vita di Antonio.
Correva, correva e basta, quell’uomo e solo lui saprà stabilire se quella fretta giustifica la morte di una giovane vita.
Un tema sempre più attuale e caldo quello della sicurezza stradale e nel caso di una strada come via Argine, costeggiata da luoghi di ritrovo e ristoro, palazzi, attività commerciali e persino da un ospedale, l’insorgere di un incidente tanto brutale, appare ancor più inverosimile, inaccettabile, surreale.
Come può un ragazzo di 20 anni morire su una strada come via Argine, a due passi da una rotatoria?
Una domanda che, come puntualmente accade in queste circostanze, con il senno di poi non troverà una risposta, ma che quantomeno deve, assolutamente, accendere una spia nelle menti ed ancor più nelle coscienze di chi viene pagato anche per rendere le strade cittadine più sicure.
L’altro grande paradosso è l’indifferenza che troneggia su quella scena di morte.
Silenzio e frastuono, compostezza e distacco, dispiacere e rassegnazione. Eppure, se quella sagoma di gesso fosse merito di un agguato di camorra, accanto a quel palo ci sarebbero assai più fiori, molto più cordoglio e tanti fronzoli ed orpelli conferiti in omaggio a quella giovane vita stroncata, questo è scontato.
Chiunque transiti lungo via Argine, costeggiando quella lingua d’asfalto che ha accolto gli ultimi respiri di un ragazzo qualunque di appena 20 anni, potrà facilmente catturare una triste consapevolezza: non tutte le morti sono uguali. Non tutte le morti giovani sono destinate a destare scalpore.