In un appartamento di Milano, dove il boss Arcangelo Abete era detenuto ai domiciliari formalmente per motivi di salute, venne decretata la condanna a morte del tatuatore Gianluca Cimminiello. Un omicidio ordinato per dimostrare la forza di un gruppo che di lì a poco si sarebbe impegnato nella cosiddetta terza faida di Scampia. Questo il retroscena celato dietro la tragica e cruenta morte di un uomo di 31 anni, un professionista, un tatuatore talentuoso, apprezzato e ben voluto e soprattutto un ragazzo perbene. Una storia per molti versi nota, che oggi si arricchisce grazie alla testimonianza della fidanzata della vittima, da cinque anni testimone di giustizia in località protetta, unitamente al contributo di almeno cinque collaboratori di giustizia.
Accuse culminate negli ordini di arresto a carico di Arcangelo Abete, 46 anni, capoclan di Scampia, ritenuto mandante dell’omicidio, che con questo delitto avrebbe inaugurato una nuova stagione di morte (la cosiddetta terza faida contro i girati della Vannella grassi); ma anche a carico di Raffaele Aprea, 33 anni, ritenuto l’organizzatore e esecutore materiale del delitto di Cimminiello, consumato assieme a Vincenzo Russo, di 36 anni. Ma la posizione di quest’ultimo indagato va messa bene a fuoco: ieri Russo è stato arrestato per associazione camorristica, mentre è imputato a piede libero per l’omicidio del tatuatore. Era stato condannato in primo grado e in appello, ma in Cassazione i giochi si sono riaperti, sulla scorta di una nuova valutazione delle intercettazioni, rendendo di fatto possibile la sua scarcerazione.
Il movente che ha decretato l’omicidio è una foto postata su facebook dallo stesso tatuatore.
Una decina di giorni prima della sua morte, Gianluca pubblicò, difatti, sulla sua pagina di facebook una foto con l’ex calciatore del Napoli Lavezzi, realmente scattata all’esterno dello stadio, ma presentata con un montaggio dal quale sembrava che il bomber fosse stato ospite nel laboratorio del tatuatore.
Questo scatenò invidie da parte di un altro esperto del ramo, tale Vincenzo Donniacuo, tatuatore di Melito e amico di affiliati agli scissionisti. Questo scenario dal quale hanno avuto inizio una sequenza di eventi culminati nell’omicidio di Gianluca, condannato a morte da una foto pubblicata su facebook.