La “Napoli popolare”, quella dei motorini che sfrecciano come schegge inafferrabili, quella dei contrabbandieri, delle signore dai capelli indomabilmente ossigenati o corvini come la pece, quella degli altari dedicati ai Santi, ai quali un cero acceso non manca proprio mai, quella dove piccoli e scaltri uomini travestiti da bambini dribblano cartelle e pedoni, mentre calciano un pallone, quella in cui l’odore del caffè si defila solo per fare posto al corposo ragù che bolle con la medesima solerte intensità della lava che giace nelle sue stesse budella, quella nella quale l’unico ufficio di collocamento esistente si chiama “arte di arrangiarsi”, quella dove il calcio è una religione e Maradona è un Dio, quella composta da un indistricabile groviglio di vicoli, all’interno dei quali, è custodito il cuore pulsante di Napoli in tutta la sua scarna, cruda, e sfrontata autenticità.
Nella Napoli dei Quartieri, del Pallonetto, di Montecalvario, di Piazza Mercato, del Corso Garibaldi, della Sanità, dell’Avvocata, del Borgo delle Vergini, di San Lorenzo, quella che si estende a macchia d’olio, rivendicando, da sempre, un’egemonia ideologica, storica e culturale che la incorona “regina” detentrice di tradizioni ed emozioni, è proprio lì che è possibile scorgere la vera anima di questa città ed è parimenti facile scoprire come e quanto sia dominata da una miriade di emozioni contrastanti.
L’anima di Napoli è paziente, sofferente, speranzosa, incazzata, martoriata, orgogliosa, rigogliosa, costernata, speranzosa, fidente seppur la storia le abbia inferto innumerevoli, sonore lezioni, sognatrice, seppur le abbiano spezzato le ali, ottimista, ma con le radici ben ancorate nella tortuosa realtà dei nostri giorni, complessa nella sua rude semplicità, generosa, premurosa ed amorevole, ma solo con chi lo merita e molto, molto altro ancora.
Al cospetto dei raggi di sole che illuminano quel coacervo di tradizione e passione, esaltandone la primordiale e disadorna bellezza, quelli che sanno sfatare remore e pregiudizi, tramutandoli in distesi sorrisi.
E’ lì che è facilmente comprensibile perché il calore della gente di Napoli è rinomato in tutto il mondo.
E’ lì che vivono capaci di entrarti nel cuore con la stessa semplice e disinvolta semplicità con la quale, ogni mattina, il sole s’insinua attraverso quella flebile intercapedine che squarcia la finestra. Persone capaci d’intavolare conversazioni crude e sincere, disadorne di perbenismi e pregiudizi, senza applicare quella cinica cernita degli argomenti da tenere per se e quelli che, invece, possono essere condivisi con gli altri, perché quella gente è animata dalla saggia consapevolezza che la vita è una matassa indistricabile di problemi, per cui non vale la pena di complicarsela ulteriormente.
Quella è gente che non ha nulla da nascondere e che sceglie di vivere alla luce del sole.
Nel bene e nel male.
E’ lì che si consumano le storie di vita più tragiche ed amare, apparentemente così lontane dalla nostra frenetica e faziosa quotidianità, eppure così tremendamente e tristemente vere.
E lì che vive la fetta di Napoli maggiormente intrisa di altruismo e solidarietà.
E’ lì che sopravvive, nonostante tutto, il più profondo ed accorato senso del rispetto per il lavoro, per le persone, per la vita, per la dignità umana.
E’ lì che ogni napoletano non può fare a meno di sentire un profondo, sincero ed orgoglioso senso d’appartenenza. Verso questa terra, verso il suo popolo, ovvero, verso sua madre e tutti i suoi fratelli.