Una radioterapia l’ha condannata alla paralisi. Questo l’episodio che costringe Giovanna Maria Leonardi, 63 anni, che ha visto la sua vita stravolta dopo un intervento effettuato al Policlinico di Modena, a vivere da 20 anni sulla sedia a rotelle.
«Ho rischiato di morire, sono arrivata a pesare 39 chili, per un anno e mezzo sono stata alimentata con un ago in vena anche dopo il mio ritorno a casa. Se non fosse stata per l’accortezza di un primario oggi non sarei qui. Ma siccome sono ancora viva, mentre invece avrei dovuto morire quindici anni fa, sono diventata un caso clinico»: queste le parole delle quali la donna si avvale per raccontare il suo dramma, nel corso di un’intervista rilasciata a “La Gazzetta di Modena”.
Il suo inferno è cominciato nel 1996 con un intervento al collo dell’utero in seguito all’insorgenza di un tumore. Dopo l’intervento, eseguito a Verona, le consigliarono un trattamento di radioterapia che lei, residente a Modena, preferì eseguire al Policlinico. Pelvi, addome e schiena ma sin dal primo trattamento cominciarono dolori violentissimi giorno e notte, vomito e diarrea senza tregua.
«I medici – continua la donna – mi dicevano che era normale per le prime volte – Io non riuscivo più a mandare giù niente, neppure un cucchiaino d’acqua. Da 55 chili arrivai in neanche un mese a 39 chili e ogni volta che chiedevo un chiarimento ai sanitari loro proponevano un intervento chirurgico alla pancia per vedere cosa succedeva. All’improvviso mi si aprì una fistola, giusto sullo stomaco, all’improvviso. Ricoverata d’urgenza mi trovarono con altre fistole tutto intorno all’intestino. Ricoverata in Chirurgia d’urgenza trovai il dottor Manenti che capì al volo la situazione, controllò le cartelle con le radiografie e ordinò la nutrizione parenterale. Rimasi ricoverata per un mese e mezzo, poi mi rispedirono a casa, non potevano fare più nulla.
Così cominciò, anzi continuò, la mia vita a letto. Per altri diciotto mesi continuai a nutrirmi con le flebo prima di poter riuscire a ingoiare qualche frullato, un omogeneizzato. Ma le gambe non mi tenevano più in piedi, i muscoli erano atrofizzati definitivamente.
Ma non era il peggio. Ero diventata incontinente, non potevo più uscire perché dovevo avere un bagno vicino e non ero più autosufficiente per tirarmi su e mettermi su un water. Alla schiena erano solo dolori. Così cominciai una massiccia cura di vitamina B12, l’unica in grado di fermare il vomito. Ancora oggi, con lo stomaco distrutto, le vitamine sono l’unica cosa che posso assumere per difendermi dai malori. Spendo un sacco di soldi, che non mi vengono rimborsati dall’Ausl e altrettanto devo pagare per le creme antidecubito, altrimenti sarei tutta piagata. Pare che per regola, per quelli nelle mie condizioni, la sopravvivenza sia di cinque anni. Io invece sono ancora qui, quindici anni e passa più tardi e i medici sono increduli. In questi anni ho cercato di capire che cos’era successo.
Il medico legale del tribunale ha ipotizzato un errore nell’allenamento dei campi di radiazione, si sono sovrapposti; io ho preso radiazioni trenta volte in più del dovuto. Mi sento una sopravvissuta alla bomba atomica».
La questione ora è davanti al giudice, ma l’iter che può portare a un potenziale risarcimento è notoriamente lungo e soprattutto, al cospetto di una vita martoriata da un simile errore, può bastare una somma di denaro per riscattare 20 anni di felicità negata?