Se mi chiedessero di descrivere con una semplice frase l’Expo 2015 e la sua organizzazione, ricalcherei tristemente le parole di Giovanni Sartori, politologo di fama internazionale, per esprimere il mio sconforto: “Nessuno in Italia vuole correre rischi. […] [L’Italia] Non ha grandi visioni né del futuro né del presente. Diciamo che sostanzialmente è un paese che tira a non perdere il posto“.
L’Expo è, dunque, il degno specchio di un’Italia senza più un’identità: l’Italia dell’ingegno, della follia e dell’arte è naufragata con malinconia e rabbia tra le strette di mano di corrotti e incompetenti.
Poteva essere l’occasione di una possibile rinascita agli occhi degli altri Paesi, o perlomeno l’occasione per dimostrare come il Bel Paese, in passato tanto osannato, potesse ancora dire la propria e porsi ad esempio di struttura organizzata e gestita in maniera eccelsa.
Naturalmente per riuscire in tale programma sarebbe stato necessario rischiare le proprie risorse per le più azzardate idee di rivalsa e competizione, cosa non avvenuta, o avvenuta in maniera alquanto scarna.
Iniziamo dai costi di produzione: è fondamentale sapere che la cifra esatta di quanto sarà costata l’Expo si potrà calcolare solo al termine della stessa e dovrà, poi, essere divisa in tre categorie di investimento: i soldi pubblici, quelli investiti da aziende private ed, infine, quelli utilizzati dai singoli Paesi partecipanti per costruire i propri padiglioni e stand. Al momento per quanto riguarda gli investimenti pubblici, questi sono stati di circa 1 miliardo e 300 milioni di euro, suddivisi secondo i seguenti criteri: 833 milioni sono stati stanziati dal governo nazionale e 467 sono stati messi al 40 per cento dal comune di Milano, al 40 per cento dalla regione Lombardia e al 20 per cento dalla Camera di Commercio.
Passando agli investimenti privati e alle cifre spese dai paesi partecipanti, si parla rispettivamente di circa 400 milioni e di circa 1 miliardo di euro.
Calcolando su queste basi le somme spese esclusivamente per la realizzazione del tutto, la lettura è di circa 2 miliardi e 700 milioni di euro.
Irrinunciabile, quindi, il confronto con l’Expo 2010, svoltasi a Shanghai e considerata la più costosa, in termini di realizzazione, fino a quel momento: l’evento costò all’amministrazione della città ben 20 miliardi di yuan, ovvero circa 2,4 miliardi di euro, per la costruzione del sito e per i lavori ad esso connessi che, in gran parte, sono, poi, rimasti beni a disposizione della città e dei cittadini.
L’affluenza, 5 anni fa, fu anch’essa nettamente diversa, in quanto si contarono ben 73 milioni di visitatori, record assoluto, contro gli attuali 20 milioni previsti; da segnalare, però, la posizione della città ospitante, Shanghai, favorevole alle visite degli abitanti asiatici. 20 milioni non sono affatto pochi, ma in relazione ai costi è facile dedurre che si sarebbe potuto fare di più per favorire la partecipazione, anche visti i dati di alcune precedenti Expo, come quella del ’92, svoltasi a Siviglia, e protagonista di ben 42 milioni di visite.
I numeri non sono tutto, ma non ci si poteva sottrarre dall’analizzare, seppur in maniera alquanto superficiale, statistiche e dati in seguito alla realizzazione di un progetto tanto importante quanto carico di aspettative.
Focalizzando l’attenzione sull’esposizione in sé, bisogna osservare cinicamente i punti di forza ed i talloni d’Achille che stanno caratterizzando questa edizione; l’ideale per scoprire sommariamente i vari punti in questione è una descrizione stile visita virtuale al sito milanese.
L’arrivo in metropolitana, con conseguente ingresso presso la porta Ovest del sito, risulta senza alcuna ombra di dubbio, anche nei giorni di maggiore affluenza, il più pratico e comodo di qualunque altro mezzo pubblico.
Lo svariato numero di porte e metal detector facilita il passaggio dei visitatori, che non si trovano praticamente mai costretti ad attese sproporzionate, seppur incolonnati in lunghe code durante alcuni giorni, quali sabato e domenica.
Oltrepassato il metal detector si è a tutti gli effetti un visitatore dell’Expo 2015, con la testa piena di aspettative ed idee elaborate durante la fila; purtroppo, è a questo punto che si iniziano a verificare i primi problemi, seppur ancora mascherati da stupore e meraviglia per la sola vista dei giganteschi padiglioni realizzati.
Ogni desiderio di osservazione delle strutture viene bruscamente “stoppato” alla sola vista delle centinaia di persone una dietro l’altra, o, meglio, alla sola lettura dei cartelli posti accanto alle code indicanti i minuti di attesa, non certo banali: si va, infatti, dai semplici 15 minuti agli interminabili 120/180, se non anche di più per padiglioni particolari, come quello Italia.
Tale problema non deve assolutamente essere considerato come essenziale per il non corretto svolgimento dell’esposizione, in quanto eventi del genere comportano sempre problematiche simili; le grosse difficoltà sono nel capire come mai l’organizzazione possa permettere che le interminabili code accompagnino i visitatori ogni giorno della settimana, e, soprattutto, come mai non consenta, in casi particolari, l’ingresso prioritario a più accompagnatori per disabili e minori di 3 anni: genitori single con due figli, di cui uno minore di 3 anni e l’altro no, non possono accedere alle strutture secondo le disposizioni eccezionali perché formerebbero un gruppo di due accompagnatori più minore, dunque la soluzione sarebbe quella di entrare e lasciare il secondo figlio al di fuori. Logico, no? Inutile dire che lo stesso vale per una famiglia composta da due genitori ed un figlio con meno di 3 anni.
Bypassata la fila giunge ciò che ritengo il maggior errore compiuto in questa edizione dell’Expo, che, però dipende dai singoli Paesi costruttori e non dall’organizzazione: il mancato centramento del tema – “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” – e la carica attrattiva verso quest’ultimo.
La maggior parte dei Paesi non ha costruito all’interno dei propri padiglioni, grandi e piccoli, la giusta atmosfera per attirare l’interesse delle persone verso tale tematica, ma, anzi, ha aggirato tale ostacolo ponendo nelle apposite aree dei diversivi ricreativi e oggetti da vendere privi di contesto.
“Secondo me non tutti hanno centrato il punto. L’Expo dovrebbe essere una fiera riguardante il cibo invece alcuni hanno mischiato un po’ le cose e non erano niente di che da vedere. Personalmente tra quelli che ho visto forse l’unico che riguardava quello ed era attrattivo era quello della Germania”, ecco come ha commentato Federica, una ragazza che ha visitato l’Expo.
“Non c’era niente in molti che ricordava il cibo. Il Brasile è una ‘rete’ su cui devi camminare”, il parere di Gianna, anche lei presente.
Due semplici opinioni frutto della delusione. Delusione che, talvolta, può trasformarsi in rabbia di fronte a ristoranti e stand che non effettuano scontrini fiscali, nonostante prezzi esorbitanti e porzioni minime, altra croce di questa edizione, che, però, non vogliamo innalzare viste le già tante con le quali si trova costretta a fare i conti Expo 2015.
Tirando le somme, sarebbe difficile poter credere di essere riusciti a realizzare un’esposizione degna di fama per gli anni a venire, degna delle tradizioni passate e degna di quelle aspettative createsi; un’esposizione in cui le regole del “mangiar sano” si sarebbero dovute imprimere nella mente dei visitatori, a scapito di quei cibi ipercalorici di cui non necessitiamo, ma di cui continuiamo a non fare a meno.
Ecco, dunque, cosa succede a non voler rischiare per paura di cadere: basta una leggera brezza di tiepido vento ad indebolire un castello apparentemente solido dall’esterno, ma le cui fondamenta in sabbia non sono fatte per durare.