Avrebbe compiuto 20 anni tra qualche giorno, il prossimo 31 ottobre Emanuele Sibillo, il giovane a capo della cosiddetta “paranza dei bimbi”, se non fosse stato raggiunto da quel colpo alla schiena, durante la sera del 2 luglio a Forcella, in quella via Oronzio Costa roccaforte della “paranza dei capelloni”, ovvero, i rivali del clan Buonerba. Quella sera, insieme a lui, c’era quasi sicuramente suo fratello Lino, oltre che una folta rappresentanza della paranza dei baby-camorristi di cui Emanuele era a capo.
Latitante dal 9 giugno, da quando la Procura aveva sferrato un sonoro colpo ai clan Giuliano-Brunetti-Sibillo, Emanuele, quella sera era convinto di tornare nel centro storico per prendersi una rivincita: qualcuno degli affiliati scampati alla retata aveva deciso di alzare la testa e di non pagare più la «rata» settimanale per gli introiti della vendita della droga nella zona dei Tribunali.
E non è tutto, Emanuele doveva anche vendicare uno schiaffo subìto dopo il ferimento di tre ragazzini qualche giorno prima.
La decisione di abbandonare il bunker del Rione Conocal, nel quartiere Ponticelli, roccaforte del clan D’Amico, in cui il capo dei baby-camorristi si era rifugiato beneficiando della protezione della “paranza di fravulella”, si è rivelata fatale per Emanuele, inconsapevole del fatto che tra i suoi giovani affiliati si covava un “traditore” pronto a “fare la soffiata” a quelli del clan Buonerba che, pertanto, quella notte, avvisati tempestivamente dell’imminente “visita” del giovane Sibillo hanno avuto tutto il tempo necessario per pianificare l’agguato.
Vengono così stroncate la vita e le velleità di Emanuele che non ha sempre covato “desideri criminali”, anzi. Frugando nel passato dell’ex capo della paranza dei bimbi emerge il passato che non t’aspetti. Quello che descrive Emanuele come un ragazzo solare, pacato e pieno di vita, innamorato del mondo della comunicazione. Al giovane piaceva tanto stare dietro la telecamera, intervistare, parlare con la gente. Una passione scoperta quando era stato nella comunità residenziale “Il Ponte” di Nisida, dove aveva scontato un lieve reato. Durante la sua permanenza a Nisida aveva iniziato a collaborare con “Un po’ di noi”, il periodico della comunità ed è in quel periodo che ha coltivato il sogno di diventare giornalista.
“La camorra è un sistema abbastanza complesso dove comanda esclusivamente la legge del più forte che fa da padrone. I camorristi sono devi veri imprenditori, sono anche molto bravi a nascondere la ‘propria identità’. Ormai l’illegalità è da anni radicata, abbatterla appare impossibile e bisogna essere molto bravi ad allontanarsi da certi contesti criminali”: è così che lo stesso Emanuele descriveva la camorra, in un articolo scritto nel 2012, sul numero di novembre del giornale della comunità. Emanuele non immaginava che sarebbe stata proprio quella camorra così “radicata” ad ammazzarlo in una sera d’estate, appena 3 anni dopo la pubblicazione di quell’articolo.
Su quello stesso numero di “Un po’ di noi” Emanuele ha raccontato la sua esperienza in comunità:
Mi chiamo Emanuele, ho 17 anni e sono qui in comunità da 10 mesi. Un lungo periodo, ma allo stesso tempo assai breve (è volato). Fra trenta giorni il mio percorso sarà terminato. Questa è stata un’esperienza che mi ha aiutato a riflettere, ma soprattutto a maturare! Oggi posso dire di sentirmi più responsabile e poco ingenuo rispetto al passato. Grazie al rapporto che ho stabilito con gli operatori, sono riuscito a vedere oltre alla vita che facevo prima e sono riuscito a capire che si può vivere anche onestamente. Quando uscirò porterò con me tante cose belle che mi sono state trasmesse da persone che veramente mi vogliono bene e sono riuscite a capirmi. Ora mi resta solo un mese da “scontare”, cercherò di trascorrerlo nel miglior modo possibile, poi mi rimetterò di nuovo a contatto con il mondo esterno e solo così potrò rendermi conto se realmente sono cambiato. Quando andrò via sarò di sicuro contento ma allo stesso tempo mi dispiacerà non poco lasciare persone che veramente mi sono state vicino e mi hanno aiutato a riflettere e a “maturare”. Ma di certo tornerò a trovare e salutare tutte loro. In me questa esperienza ha lasciato un segno indelebile. Nel profondo del mio cuore, so di essermi mentito e di aver pagato le mie colpe con la massima umiltà senza aver cercato mai di barattare la mia pena. Nell’attesa della mia “liberazione” cerco di essere sempre sereno ed ottimista. Spero con tutto il cuore di aver lasciato qualcosa di buono alle persone che mi hanno accompagnato in questo percorso e che hanno compreso i miei valori e soprattutto i miei sentimenti. (Emanuele Sibillo)