Quelle che si susseguono lungo le strade di Ponticelli sono ore dense di molteplici e contrastanti emozioni.
Il quartiere è letteralmente presidiato dalle forze dell’ordine; numerosi i posti di blocco e le pattuglie che battono con insistenza le strade principali: questa la risposta delle istituzioni all’agguato consumatosi lo scorso sabato ai danni della “passillona” alias Annunziata D’Amico, boss reggente dell’omonimo clan, subentrata al vertice dell’organizzazione in seguito alla maxi-operazione di polizia che portò all’arresto di ben 60 affiliati avvenuto lo scorso marzo, tra cui anche il fratello Giuseppe detto “fravulella” nonché capo della suddetta cosca criminale.
Nel corso di queste stesse ore, lungo quelle stesse strade, stanno avendo luogo anche le chiacchieratissime riprese della fiction “Gomorra”.
Strade blindate dalle forze dell’ordine in alcuni squarci, strade blindate dal rigidissimo servizio d’ordine e sicurezza che, invece, veglia sul buon esito delle riprese della seguitissima serie.
Realtà e finzione si contendono la scena e in questo momento più che mai rendono davvero difficile stabilire dove termina una ed inizia l’altra.
“Giurnalì, stai qua per fare l’intervista a qualcuno?” mi chiede un voce che mi raggiunge alle spalle. È una voce giovane e “graffiata”, appartiene ad uno dei bulletti di periferia nei quali, spesso, m’imbatto durante le mie escursioni lungo quelle strade. È un “ibrido” uno di quelli che per sua stessa ammissione ancora non sa che vuole fare: “se stare di qua o passare di là”.
“Ma cos’è questa voce?… stai male?” replico a mia volta, incuriosita da quel tono “guappesco” che mai prima di quel momento quella stessa voce aveva assunto.
“No, no… sto facendo la voce “a tipo buono” come Salvatore Conte”.
“E che ci guadagni?”
“A lui tutti lo rispettano e lo temono… lui è un boss… se parli come lui, la gente chissà chi si pensa che sei, capì?”
Una logica ineccepibile in tutta la sua rabbiosa ed intollerabile opinabilità che consegna uno dei tracciati più sconfortanti ed allarmanti in relazione all’impatto altamente deleterio che la fiction risulta esercitare sul tessuto criminale, enfatizzandone ed esaltandone le gesta e finanche suggerendone mimica, gestualità, movenze e dialettica.
A quel ragazzino di appena 14 anni ho provato a spiegare che quella non è la vera voce di Marco Palvetti, l’attore che interpreta Salvatore Conte e che si tratta di un personaggio inventato, ma lui continuava imperterrito a parlare con “la voce alla Salvatore Conte”.
“Che me ne importa a me di questo Marco, se non è “uno buono” nella vita, almeno lo diventa quando recita la parte di Salvatore Conte”: rilancia, scandendo le parole, ancora con quel tono di voce.
Un’imponente tanica di stereotipi riversata su un tessuto sociale nel quale l’ideologia criminale, in tutte le sue forme e sfaccettature, aveva già abbondantemente attecchito: questo è uno dei meriti attribuiti alla prima serie di Gomorra dalle scene che si consumano nella vita reale, mentre impassibilmente si assiste alla registrazione delle riprese del “secondo round”.