“Io dissi che lo faccio finire peggio del giudice Falcone, perché questo Di Matteo non se ne va, ci hanno chiesto di rinforzare, gli hanno rinforzato la scorta. E allora se fosse possibile a ucciderlo, un’esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo”: questo è quanto ha dichiarato il boss corleonese Totò Riina nel cortile del carcere milanese di Opera al suo compagno d’ora d’aria Alberto Lorusso, mentre le telecamere della Dia di Palermo intercettavano ogni parola.
A dare conferma di quanto visto e sentito, sono le dichiarazioni dell’ex boss di Borgo Vecchio, Francesco Chiarello: “Il tritolo si trova già a Palermo, è stato trasferito in un nascondiglio sicuro”.
E non è tutto.
L’anno scorso, infatti, anche il collaboratore di Barcellona Pozzo di Gotto, Carmelo D’Amico, parlò di centocinquanta chili di esplosivo, senza indicarne la sistemazione, perché forse, l’unico a sapere dove sia nascosto, è soltanto Vincenzo Graziano, colui che lo acquistò.
Lo stesso che, al momento del suo arresto fece una rivelazione piuttosto inquietante: “L’esplosivo per Di Matteo dovete cercarlo nei piani alti” ovvero, tra i dirigenti statali.
Nino Di Matteo è un magistrato italiano, sotto scorta dal 1995 e dal 2012 è presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati di Palermo. Nel corso della sua carriera si è più volte occupato dei rapporti tra cosa nostra ed alti esponenti delle istituzioni.
Di Matteo, presente ieri a Taormina, durante l’incontro all’interno della kermesse letteraria Taobuk, ha affermato quanto segue: “Ho pudore a parlarne, purtroppo ho una brutta sensazione, ma amo il mio lavoro e lo vivo con enorme passione” lo ripete più volte commosso, visivamente consapevole di chi sono i suoi nemici.
Perché lui stesso, durante l’incontro dichiara che è necessario parlare di mafia, di corruzione, che servono dibattiti costruttivi per abbattere i muri del silenzio, dell’indifferenza e dell’omertà, l’arma che ha ucciso più della mafia, poiché siamo di fronte a un’organizzazione che ha ucciso come nessun’altra prima, ha agito e compiuto in maniera atroce, eliminando ogni ostacolo.
“Si parla poco, si riflette poco sul concetto di metodo mafioso ed ancor meno dell’obbligo morale della memoria e della conoscenza” perché Cosa nostra non è stata sconfitta, ha solo cambiato faccia e adesso siede nei salotti buoni.
Una realtà che sottolinea il bisogno di fatti concreti affinché quel tritolo non distrugga altre parole e con loro il coraggio, la volontà, la forza di chi vuole ribellarsi a quel cruento stato di cose: questa la missione che anima le gesta di chi non molla e cammina a testa alta con dignità, nutrendo la speranza di debellare questa piaga sociale.
Fonte: Sicilia journal