I favori, i favoritismi, le mazzette, le pastette, le bustarelle: stereotipi che vorremmo additare come obsoleti baluardi di una forma mentis superata e sradicata dall’ideologia e dal modo di vivere, agire e pensare del nostro popolo. Dal netturbino all’imprenditore, a prescindere dai ceti sociali e dagli status di appartenenza.
E, invece, la realtà, attraverso le notizie di cronaca relative agli ultimi arresti maturati all’ombra del Vesuvio, narra tutt’altra condizione.
Dall’ordinanza notificata ai Mariano cominciano ad emergere le alleanze alla base della nuova geografia criminale e che potrebbero spiegare anche i recenti fatti di sangue. Dalle indagini – coordinate dall’aggiunto Filippo Beatrice e dal sostituto Michele Del Prete – emerge che, se i Mariano sono ancora ben radicati nei vicoli a ridosso di via Toledo, i loro alleati Trongone controllano un’altra importante fetta del centro cittadino, da rua Catalana a Santa Chiara. E hanno stretto alleanza con i Sequino della Sanità, che da mesi si stanno scontrando con i Sibillo.
Ma non sono solo altri gruppi criminali a sostenere il clan Mariano: Marco, in particolare, ha goduto del sostegno di imprenditori, professionisti e politici. Grazie a loro riciclava denaro, sfuggiva alle restrizioni cui era sottoposto, si procurava appalti: per esempio, nell’ospedale dei Pellegrini. Rapporti molto stretti lo legavano al dottor Luigi Ussano, primario di Medicina generale del Monaldi, che non è stato arrestato solo perché i fatti risalgono ad alcuni anni fa. Ussano è accusato di avere attestato falsamente che il boss doveva rimanere ricoverato in ospedale, consentendogli così di non rientrare nella casa di lavoro di Sulmona. In cambio, avrebbe ricevuto cassette di pesce fresco. Il primario, si legge nell’ordinanza del gip Tullio Morello, «gli aveva anche scelto un reparto dove poteva meglio muoversi».
Quando Mariano dovette tornare a Sulmona, Ussano consigliò come evitare in extremis di il rientro in carcere: doveva «recarsi al pronto soccorso dell’ospedale di Castel di Sangro e fingere un dolore al petto; poi lui avrebbe parlato al medico di quell’ospedale». Un altro medico, Pio Antonio Orlando, era il candidato su cui il clan puntava in consiglio comunale. Si candidò nella lista «Forza del Sud», che sosteneva Gianni Lettieri, ma, nonostante gli sforzi del clan, non ottenne i 5000 voti necessari all’elezione. Sempre per «Forza del Sud» Antonio Casillo si candidò alla I municipalità (Chiaia — Posillipo — San Ferdinando) ma non venne eletto. Fu invece eletto nel «parlamentino» Gennaro Carrino, lista Pd, con 277 voti.
Un’intercettazione ambientale consente di comprendere quale fosse il piano dei Mariano: «Parlavano delle future elezioni politiche e della possibilità di costruire imprese di servizi per gestire a pagamento i posti di lavoro negli ospedali se fossero stati eletti i loro candidati».
Non solo gli ospedali, ma anche i cimiteri: in una lettera scritta dal carcere alla moglie Patrizia Cinque, Marco Mariano si raccomandava: «Sui lavori in corso per ogni cappella vanno tolti 2000 euro per me. Mi servono e non voglio aspettare». Quindi un messaggio per l’affiliato Armando Perrella, impresario di pompe funebri e di conseguenza aggiudicatario di molti appalti al cimitero: «Se non trovo riscontro nella tua presenza costante e seria chiarirò al proprietario come stanno le cose. Cerca di non deludermi. Ottieni il rispetto per i miei fratelli detenuti, è il minimo».
Da un’altra intercettazione, infine, si comprende come l’attrattiva che la camorra ha sui giovani sia sempre forte, soprattutto se i guadagni sono alti. Un padre non identificato avvicina Vincenzo Ricci, braccio destro di Mariano. E gli dice: «Zio, tengo a Gianni (il figlio, ndr) che si vuole sporcare. Però con una cosa di soldi buona».
Dai quartieri spagnoli alla Sanità, passando per Santa Chiara, infiltrandosi nelle intercapedini più remote ed insospettabili della città: la camorra arriva ovunque e riesce a portare chiunque dalla sua parte.