Ieri, 19 settembre, avrebbe festeggiato l’onomastico, Genny Cesarano, il 17enne ucciso in un agguato, consumatosi nel cuore della notte dello scorso sei settembre, nella piazza che costeggia la chiesa di San Vincenzo alla Sanità.
Una storia di opportunità mancate e di un appuntamento con il destino sbranato dalle feroci logiche della camorra: questo è quanto ha segnato la vita di Genny, decretandone la morte.
Chi non vive certe realtà, non può, non sa capire. Chi vive in un quartiere bello e maledetto come il Rione Sanità è sempre in equilibrio precario. Una vita che si consuma lungo una linea di confine sottile, quasi impercettibile, tra le cui briglie è facile perdersi, confondersi. Genny, qualche anno fa, quell’equilibrio lo ha perso: tentata rapina e resistenza a pubblico ufficiale. Ha ammesso l’errore e ha cercato di rigare dritto, dopo quell’infimo scivolone. Il regime di «messa alla prova» accordatogli dal Tribunale per i minorenni, lo porta a confrontarsi con altre realtà e con altri modelli.
Inizia un percorso che sarebbe dovuto durare due anni, il primo era passato. Genny inizia a praticare il volontariato presso un’associazione che si occupa di recupero scolastico per bambini e ragazzi del suo stesso quartiere, aiuta i più piccoli a fare i compiti, partecipa alle attività laboratoriali, ai momenti ludici. Si mette in gioco proprio come dovrebbe fare un ragazzo della sua età. In quei dodici mesi passati al doposcuola dei Cristallini, tra coetanei e più piccoli, Genny ritrova l’entusiasmo confacente ad un ragazzo della sua età, unitamente alla voglia di vivere e sente il bisogno di svestire gli abiti da bullo per riappropriarsi della genuina spensieratezza di un aspirante uomo come tanti. Onesto e sognatore, ispirato da un nuovo credo ed animato da ideali più costruttivi. Genny allontana e si allontana dall’episodio di illegalità che lo aveva visto protagonista.
Un ragazzo riservato e pieno di voglia di vivere, innamorato del calcio, anzi, di quella passione che dalle sue parti si chiama “pallone”. Gennaro era un calciatore munito di un Destro apprezzabile, un fantasista che frequentava la scuola calcio a Capodimonte. Il suo idolo era Lorenzo Insigne, uno come lui, cresciuto tra le braccia di Partenope e che, grazie al suo talento, è riuscito a centrare l’obiettivo sfruttando al meglio la sua grande occasione. Eppure, il sogno di Genny viaggiava lungo i binari della sommessa semplicità, il calcio era percepito dal 17enne come una mera passione, la sua reale ambizione era diventare un bravo pizzaiolo e aprire un locale tutto suo. Avrebbe dovuto iniziare il terzo anno dell’Istituto alberghiero, al Caracciolo, una delle ultime scuole, insieme all’elementare Angiulli, ancora attive nel quartiere.
Le sue giornate passavano divise tra scuola, volontariato, calcio e amici. E poi c’era la fidanzatina, una sua coetanea di un’altra zona di Napoli che frequentava da più di un anno. La vita di un adolescente come tanti che cercava di rimediare a un errore commesso, trucidato nel cuore di una notte a cavallo tra un sabato e una domenica qualunque. Una notte che, però, si è rivelata capace di cambiare le sorti di una vita e di segnare e non poco l’anima del Rione.
Un agguato, quello che ha falciato la vita di Genny, pieno di ombre, intorno al quale aleggiano ancora tanti dubbi ed ancor più interrogativi irrisolti, avvolti in una fitta ed appiccicosa patina d’omertà.
Ci stanno provando in tutti i modi gli inquirenti a ricostruire l’esatta dinamica dell’agguato per risalire alla verità. Vogliono capire cos’è successo realmente, durante quei concitati e violenti attimi che hanno macchiato di sangue il cuore del rione Sanità. E non solo quello. È necessario capire perché i killer hanno colpito proprio quel gruppetto e che valenza assume il suddetto episodio nell’ambito della faida di camorra che impazza tra vicoli e periferia.
Durante i giorni scorsi, gli inquirenti hanno lavorato ad una probabile ricostruzione, sono ritornati lì, sulla scena del crimine, nei pressi della chiesa di San Vincenzo alla Sanità. Hanno chiesto ai testimoni dell’agguato di occupare la stessa posizione che avevano quando sono entrati in azione i killer che hanno ucciso Gennaro Cesarano. Un sopralluogo utile a raccogliere informazioni, per provare a ricostruire quegli attimi che hanno stroncato la vita del diciassettenne, colpito a morte da una sventagliata di proiettili.
Fuoco di camorra, su questo non vi è dubbio, e lo scenario coperto da silenzi omertosi lo conferma, lo sottolinea, lo urla in silenzio. Silenzio di paura.
Sono tre i potenziali testimoni dell’agguato, – tra questi c’è un miracolato, sopravvissuto per una fortunosa questione di attimi: il suo scooter è stato colpito da quattro proiettili, lui è rimasto illeso – grazie ai quali la scena che ha accolto quei concitati attimi sembra più chiara, a cominciare dalla presenza sul posto di altri palpabili bersagli.
Silenzi, amnesie, paura da parte dei testimoni, che non sanno o non ricordano se assieme a loro ci fosse un quinto soggetto.
Infatti, dall’intreccio di testimonianze e dall’evoluzione delle indagini emerge che accanto a Gennaro Cesarano e ai tre testimoni ascoltati, potrebbe esserci un altro uomo, che è riuscito a rimanere anonimo. Potrebbe essere lui l’obiettivo dell’agguato che ha invece stroncato la vita del minorenne.
Ambiguità e contraddizioni animano anche la versione dei tre testimoni che non forniscono informazioni precise in merito alle generalità del gruppetto di amici e conoscenti del ragazzino ucciso. Non sanno o non ricordano, sembrano interessati a tacere per non coinvolgere soggetti scomodi, per non trovarsi coinvolti in una vicenda delicata, scomoda.
“Un uomo misterioso”, un potenziale elemento coinvolto nella faida di camorra che tiene in ostaggio il centro storico cittadino: questa, al momento, risulta essere la pista più battuta dagli inquirenti per far luce sulla morte di Genny.