Un signore incanutito che passeggia su un marciapiede col “cane da borsetta” al guinzaglio, versione Paris Hilton. Poco distante un’Audi, un feticcio che richiama universalmente l’idea di opulenza e sfarzo dei consumi, fende a velocità moderata una strada con le sue ricche vetrine.
Vogliono farla sembrare Manhattan, ma è semplicemente il quartiere Vomero di Napoli, precisamente fra Piazza Vanvitelli e Via Scarlatti. Sono le immagini che più colpiscono fra i fotogrammi di un servizio del Tg Cronache di La7 che lo scorso 12 settembre ha presentato quello che molti volevano vedere. Il servizio aveva lo scopo di raccontare le diverse realtà napoletane, dal quartiere alto-borghese a quelli popolari del centro storico e puntava volutamente a creare un effetto d’indignazione che generasse una cosiddetta “discriminazione rovesciata”, in cui l’abituale discriminato sveste i soliti panni e si trova a giudicare impropriamente una pluralità di soggetti sulla base di elementi esigui, come gli estratti delle interviste raccolte ai cittadini della “Napoli bene”.
Il perché dell’indignazione
La scelta da parte della giornalista di puntare microfono e telecamera su personaggi che in qualche modo rappresentassero l’immagine di un quartiere convenzionalmente riconosciuto come ricco e snob si rivela più una strategia mediatica che un’imprevedibile casualità. “Io sono nata e cresciuta qui. Non frequento le altre zone di Napoli e non vedo il motivo per cui dovrei uscire dal mio guscio”, dice una signora di mezz’età dal taglio curato e dai modi principeschi. Nulla in confronto ad un Gregory Peck nostrano (capello brillantinato, lenti da sole e giacca color cobalto) che, alla domanda se avesse amici alla Sanità o al Rione traiano, risponde seccamente “no” accompagnando alla sua dichiarazione una sibillina espressione di compiacimento. Paiono quasi personaggi da contorno al cospetto di una ragazza poco più che ventenne che, comodamente seduta al tavolino di un bar, sentenzia: “le persone restino nei propri quartieri. Ho sempre studiato nel mio quartiere, quindi non vedo il motivo per cui uno del Rione Traiano debba venire a studiare a Chiaia per il liceo”. Al diavolo la mobilità territoriale, insomma.
L’inganno dei media
Tralasciando la vacuità di certe affermazioni e soffermandoci sulla dubbia casualità degli intervistati di cui sopra, la domanda è: ci cascheranno i napoletani? I media nazionali sono abituati a raccontare la realtà partenopea attraverso voci e immagini stereotipate con l’obiettivo di confermare l’aura di una Napoli che affoga nel folclore, nel calcio e nella criminalità. Queste cose, sì, possono ingannare gli italiani. Ma anche il resto dei napoletani non vomeresi? Davvero credono che all’interno della propria città possa esistere un’oasi felice abitata da somari coi paraocchi che non solo non conosce nessuno oltre Piazza Vanvitelli ma che addirittura mal vede qualsiasi forma di “contaminazione”? Davvero credono che i vomeresi non si sentano figli della stessa Napoli? Al Vomero si sta bene, non bisogna essere ipocriti, forse anche meglio che in altre zone di Napoli altrettanto rinomate. Confondere però il benessere di un quartiere con un presunto senso di superiorità è un errore che il napoletano non può e non deve fare. Forse non tutti i gli abitanti del Vomero conosceranno persone della Sanità, ma di certo qualcuno della Sanità avrà amici anche al Vomero e sa, che lassù, ci vive anche gente normale.