Doveva essere il ponte sospeso dei record per un costo di 4 miliardi di euro. Finora lo Stato ha pagato 300 milioni per la mancata costruzione. Sempre sostenuto da Berlusconi, a fasi alterne da Prodi. Affossato dal governo Monti e dall’Ue. Nel 2005 la Dia aveva illustrato in Parlamento il rischio di infiltrazioni di Cosa nostra.
Ecco che Alfano riprende vecchie idee berlusconiane, come quella relativa alla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. Da mesi in Sicilia si è tornati a parlare di uno dei progetti infrastrutturali più antichi e discussi in Italia. Basti pensare che la prima società per realizzare un collegamento su terra tra Sicilia e Calabria fu lanciata da Francesco Cossiga nel 1979, ma come un’araba fenice l’idea è continuata a tornare in auge sotto i governi Berlusconi, per poi cadere nel dimenticatoio.
«Non vedo ragioni per cui non si debba più parlare del Ponte sullo Stretto di Messina e noi in Parlamento presentiamo una proposta di legge per realizzarlo. So che la sinistra si opporrà, ma accadrà come con la riforma dell’art.18: dicevano che avevamo lanciato un dibattito ferragostano, e ora è legge dello Stato». Lo ha detto il leader Ncd e ministro dell’Interno Angelino Alfano, presentando nella sede dello Svimez il piano centrista per il rilancio del Mezzogiorno.
«Non è possibile che l’Alta velocità arrivi fino a Reggio Calabria – ha aggiunto – e poi ci si debba “tuffare” nello Stretto, per poi rincominciare a viaggiare a… bassa velocità. Questo è un progetto che vogliamo rilanciare», ha ribadito ancora una volta Alfano.
L’uscita del ministro dell’Interno ha già creato una spaccatura nella maggioranza di governo, con Francesco Boccia che ha bollato la vicenda «come un’idea per Ncd di sopravvivere» e Vincenzo Garofalo di Area Popolare, vicepresidente della Commisisone Trasporti ad attaccarlo definendo «l’opera essenziale»; mentre il premier Matteo Renzi non ha commentato l’uscita del ministro, ma già in aprile, a pochi giorni di distanza dalle dimissioni di Maurizio Lupi da ministro per le Infrastrutture, i giornali locali calabresi e siciliani avevano iniziano a parlare di un ritorno di fiamma per l’imponente progetto dal costo di svariati miliardi di euro: per i costruttori all’incirca 5 mentre gli ambientalisti dicono 9.
Un’opera imponente, tramontata il 15 aprile 2013, quando la Stretto di Messina Spa, concessionaria costituita nel 1981 per la sua progettazione, la realizzazione e l’esercizio, viene liquidata con decreto del presidente del consiglio dei ministri, all’epoca Mario Monti. Che, già l’anno prima, aveva fatto stanziare 300 milioni per le penali da pagare per la mancata costruzione.
Furono in particolare le parole di Pietro Salini («Io mi batto non per avere una penale ma perché sia realizzato»), amministratore delegato di Salini-Impregilo, azienda che ha in mano l’appalto, ad aprire le porte a un nuovo dialogo con il governo Renzi e il neo ministro Graziano Delrio. Ma la boutade di Alfano rischia di rimanere solo sui giornali, perché la linea di Delrio e del nuovo presidente di Anas Vittorio Armani, braccio operativo del governo sul capitolo infrastrutture, è quella di «puntare sulla manutenzione piuttosto che sulla realizzazione di nuove opere», pensiero sensato, specie in riferimento al recente crollo del pilone nel tratto autostradale Palermo Catania.
O meglio, per dirla come un dirigente del settore: «Prima bisogna valorizzare con investimenti l’asset esistente di Anas, circa 25mila km di strade, renderle efficienti e sicure, prima di avventurarsi in spese per nuove opere faraoniche».