Gianluca Ianuale e Marco Di Lorenzo, gli assassini di Anatoly Karol, il muratore ucraino morto per sventare la rapina nel supermercato Piccolo di Castello di Cisterna, lo scorso 29 agosto, si sono presentati all’udienza di convalida del fermo accompagnati da due legali specializzati nella legge sui collaboratori di giustizia.
Tutto lascia presagire che i due hanno deciso di percorrere la via del patteggiamento per giungere ad una riduzione della pena, mentre l’opinione pubblica invoca a gran voce una punizione esemplare, capace di fungere da deterrente per altri “rappresentanti della categoria”, capaci di afferrare e maneggiare le armi con estrema disinvoltura.
Un caso, quello dei due fratellastri radicati nella malavita vesuviana, che seguita a far discutere, anche e soprattutto per quella tipologia di “mentalità” che attraverso le loro gesta è venuta a galla e seguita a tenere banco.
Nelle ore antecedenti all’arresto di Ianuale e Di Lorenzo, mentre i media diramavano le loro generalità e gli agghiaccianti precedenti penali a carico dei due, sui social network, amici e conoscenti, hanno dato luogo ad un’autentica pioggia di messaggi solidali e di “fiducia nelle giustizia”, nella loro giustizia. Quella in virtù della quale la camorra è lo Stato, i nemici da osteggiare sono le istituzioni e gli uomini in divisa e rubare per mangiare diventare un alibi che rende il crimine lecito, ma, soprattutto, quello che in maniera più cruda e paradossale trapela da quei messaggi è che la vita di un uomo semplice e “per giunta” ucraino, non sembra avere alcun valore.
L’omicidio di Anatoly, agli occhi di quella frangia di popolo, viene percepito come un’azione “necessaria”. Come schiacciare una mosca che fastidiosamente ronzava intorno ai due criminali che osava ostruire il sereno e fluido corso della rapina che intendevano mettere a segno per “tirare a campare”.
«Vogliamo i Gianluca e Marco liberi, l’amnistia ora deve arrivare e squadrun an sciiii (gli squadroni devono uscire, ndr)».
«Non è entrato per ammazzare – scrive una donna – sto ragazzino è entrato perché non aveva soldi per mangiare, non ha sparato, non ha colpito per primo, è stato aggredito. Mi dispiace per l’ucraino ma che doveva fare sto ragazzino? Non pensate che si è spaventato non è sicuro felice».
Commenti agghiaccianti che hanno scatenato l’ira e l’indignazione di tanti che seguitano a rimarcare che se non si può mangiare si va a lavorare, non a fare le rapine ed uccidere gli innocenti.
«Grazie per il tuo punto di vista – scrive lo stesso ideatore della pagina – ci aiuta per capire che ci sono in giro altri ‘Ianuale’ e ‘Di Lorenzo’ come te dal quale difenderci. Detto questo vai pure a scrivere messaggi d’amore ai due carcerati, questo è un gruppo nato dalla rabbia di vedere gentaglia respirare il nostro stesso ossigeno».
Una situazione concitata e sempre più rilevatrice di un disagio sociale che vede l’esasperazione della frangia onesta della popolazione, desiderosa di seguitare a credere, nonostante tutto, che vivere nella legalità e nel rispetto delle leggi, civili e morali, può essere ancora auspicabile, in contrapposizione a quel “male di vivere” che rappresenta il più ostinato cancro da estirpare per ripulire l’umanità dalle letali ferite inferte dall’ideologia criminale ed ancor più dal suo ferino modus operandi.