Quando arrivi sul luogo di un omicidio lo capisci subito se si tratta di un agguato di Camorra.
Quando a premere il grilletto è il feroce braccio armato della criminalità organizzata, intorno al cadavere aleggia un sottile bisbiglio di voci, accompagnate da sguardi bassi, sommesso, animati dalla palpabile paura di incrociare gli occhi sbagliati o che qualcuno possa leggere in quell’evasivo e rotatorio movimento di palpebre qualcosa di sbagliato o peggio ancora di compromettente.
Paura negli occhi, paura nelle voci, paura in quei muscoli che personificano movimenti impacciati e senza senso.
Questa la cornice che si disegna intorno a quella sanguinaria scena di morte. Non sai mai cosa augurarti, quando arrivi sulla scena del crimine: se privilegiare “il desiderio di catturare l’esclusiva” e quindi sperare di giungere prima della polizia scientifica, prima che il corpo venga rimosso o coperto con il lenzuolo, così da carpire dettagli, indiscrezioni, impercettibili sfumature che possano arricchire l’articolo di quel quid in più, capace di renderlo più appetibile agli occhi dei lettori.
Dettagli, indiscrezioni ed impercettibili sfumature che, di notte, quando chiudi gli occhi e spegni l’interruttore, della luce e dei pensieri, vengono a bussare prepotentemente alla porta della suggestione. Quindi è meglio giungere sul posto quando è già tutto finito e il corpo è già coperto, impenetrabile alla curiosità dei presenti: questo è quanto auspica la parte “umana” della coscienza, mentre i passi si avvicinano a quell’improvvisato teatro di morte. In ogni caso, quello che desta maggiore sconcerto, nella sua nuda e cruda riproduzione, è proprio la morte. Una striscia di sangue, una mano penzolante dalla portiera di un’auto, un piede denudato della scarpa che lo ricopriva, un lenzuolo bianco squarciato da una profonda pozza di sangue rosso ed incredibilmente e paradossalmente “vivo”.
Scene fredde, mute, atemporali, amorfe, inermi, alle quali si sovrappongono quelle confacenti alla vita ordinaria: il pianto di un bambino, una sigaretta sfumacchiata mentre si cerca di capire con fare distaccato cosa sia accaduto e cosa stia accadendo, i motorini che sfrecciano, l’odore del pranzo che ribolle in pentola inebriando l’aria, le chiacchiere spicciole sulle bollette da pagare o la bolletta con le squadre vincenti da giocare.
Vita e morte s’intervallano e si susseguono con un macabro spirito di contraddizione, difficile da decifrare ed ancor più da vivere.
Questo è quanto insegna un agguato di camorra.