Una tragedia raccontata e sottolineata dalle immagini più strazianti: quelle che ritraggono i bambini.
Bambini stremati, bambini annegati in mare ed ancor prima dalla crudele e feroce disperazione, figlia dell’incesto tra livore di potere e sete di violenza, sangue, distruzione, morte.
Andare incontro alla morte per sfuggire alla morte: questo è quanto raccontano quei piccoli corpicini sui quali sono già scalfiti i crudeli segni dell’angheria umana.
Spietati i militanti che seguitano a tenere ben salde tra le mani le armi, in nome di un credo e di ragioni incapaci d’udire ragioni; spietati i politici ed i politicanti che non vogliono tendere la mano a quei bambini, barricandosi nei rigogliosi confini imposti dai cinici limiti ideologici.
Li lasciano morire in mare, fingono di non captare il messaggio che preannuncia il sopraggiungere di un nuovo barcone stracolmo di speranzosa disperazione, si dicono incapaci di accoglierli e si ostinano a voler chiudere gli occhi al cospetto di una realtà che assume le orribili fattezze di un incubo, per i migranti e non di certo per chi, seduto sul divano, davanti alla tv, tra la prima e la seconda portata, si ritrova a commentare quelle strazianti scene di morte.
Corpi di bambini che galleggiando giungono a lambire le coste.
Corpi di bambini che calpestano con i loro stessi piedi la terraferma. Eppure, quella prima conquista, non rappresenta di certo una garanzia di sopravvivenza. Non al cospetto della vasta manciata di chilometri che quei flebili piedini si vedono costretti a percorrere, soprattutto per superare i rigogliosi muri dell’intransigenza.
Per i migranti vivere è già diventato sinonimo di sopravvivere.
E il resto del mondo se ne sta a guardare.