3 settembre 1982 – il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo e sua moglie Emanuela Setti Carraro si dirigono verso un ristorante a bordo della loro A112 bianca, seguiti dall’agente di scorta Domenico Russo alla guida di un’Alfetta. Intorno alle 21,15, lungo via Carini, vengono affiancati da una Bmw e da una motocicletta, dalle quali parte una raffica di kalashnikov AK-47 che uccide i due coniugi e l’agente.
La mafia si libera di un grande servitore dello Stato, che con i suoi innovativi ed efficaci metodi di indagine era riuscito ad assestare colpi importanti sia all’organizzazione mafiosa sia alle Brigate Rosse (in Piemonte), portando allo scoperto la fitta rete di complicità con la politica e con una parte delle istituzioni.
Grazie a lui erano saliti alla ribalta giudiziaria personaggi cruciali di Cosa Nostra, come Tommaso Buscetta e Michele Greco, fino a quel momento sconosciuti agli investigatori. Ciononostante, il Generale si era sentito, negli ultimi tempi, abbandonato dalle istituzioni centrali nella lotta alla mafia, lamentando la scarsità di mezzi a disposizione in un’ultima intervista rilasciata a Giorgio Bocca, per il quotidiano la Repubblica.
Le indagini e il processo sulla strage di via Carini porteranno alla condanna come mandanti di sei boss di spicco (Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci) e di quattro esecutori materiali. In realtà da alcune inchieste giornalistiche e da rivelazioni emerse durante il processo Andreotti (per l’assassinio del giornalista Mino Pecorelli), si farà strada l’ipotesi che l’omicidio Dalla Chiesa fosse da collegare al ritrovamento del memoriale redatto da Aldo Moro e ritrovato nel covo delle Brigate Rosse.
Rispetto alla versione ufficiale del memoriale, s’ipotizza una versione integrale di cui Dalla Chiesa era a conoscenza e di cui avrebbe messo al corrente il giornalista Pecorelli (versione confermata dalla sorella di quest’ultimo).