Storie di cadaveri, senza nome, senza volto e perfino senza storia.
Anche quello ha risucchiato il mare: la speranza di poter scrivere una nuova storia, una volta giunti sulla terraferma.
In loro vive la consapevolezza di potervi giungere galleggiando, ma la forza della disperazione primeggia sulla paura di morire.
Cadaveri che incarnano storie, mai scritte ed infrantesi contro l’infimo scoglio della dura realtà: per loro non c’è speranza e il sogno di una vita normale riversa nelle acque che accolgono quell’ultima e disperata traversata, tutto il luttuoso e desolante dolore che gronda da quei corpi inermi, uccisi dalla tirannia di un mondo incapace di guardare in faccia la realtà.
Storie sporche di morte, storie di cadaveri che sbarcando lungo le coste dell’indifferenza, dopo un lancinante viaggio alla deriva dei valori, stanno scrivendo, comunque, non una storia, ma la storia: quella capace di delineare i tratti marcati di una nuova era, quella che, inevitabilmente, sancisce una transizione topica, peculiare della premonitrice certezza insita nel “niente sarà più come prima”.
Nulla può, al cospetto dell’avvio di una nuova era, quella cinica ed egoistica freddezza che sagacemente schiva quelle scene di morte, chiudendo gli occhi e voltando lo sguardo della coscienza altrove.
Un uomo che non tende la mano ad un altro uomo che rischia di annegare, non merita di essere definito “uomo”.
Ed è proprio questo il problema cruciale intorno al quale verte l’intera questione: la comprovata assenza di uomini veri.