Giancarlo è un ragazzo, napoletano, “un ventenne d’altri tempi”, qualcuno direbbe, “un cronista scalzo”, lo ha definito qualcun altro.
Giancarlo è un giornalista che ha saputo e voluto accendere dei riflettori, vigili ed abbaglianti, su una delle periferie più dismesse di Napoli.
Torre Annunziata: la terra dei Gionta, la terra di nessuno. Terra di povertà, omertà e pescatori, simile a molte altre realtà che, più o meno tacitamente, si consumano nell’entroterra partenopeo, pur conservando una velata scrematura di peculiarità.
Giancarlo è un giovane, ma già maturo uomo, semplice ed acuto, relegato in un corpo esile ed infagottato in un paio di vistosi occhiali, apparentemente innocuo, idealmente animato dalla forza d’animo e dagli ideali che delineano la differenza tra la staticità e il dinamismo, tra la voglia di resistere e quella di cambiare le cose, sé stessi, le persone, la realtà.
La Mehari di Giancarlo, la sua automobile, quell’orpello che nella vita di tanti giovani personifica il conseguimento della prima, grande conquista e che, pertanto, impone d’essere coccolata con l’amore peculiare di chi suda ogni acquisizione e soprattutto rispetta le cose, sé stesso, le persone.
Quell’automobile, quella Mehari è stata trucidata, insieme alla vita di Giancarlo, da quella violenta pioggia di proiettili che ha tramutato Giancarlo in Giancarlo Siani e la sua Mehari in un sentimento ben più profondo di quello riconducibile ad un “semplice” oggetto, piuttosto che ad un inerme reperto storico.
Quell’automobile, da allora, ha macinato innumerevoli chilometri, seppure a motore spento e non marciando su strada, ma con due fari, perennemente ed instancabilmente accesi, come due coraggiosi occhi, capaci di far luce sul mondo intero. Ancor più, quell’auto e il suo eterno autista, tutt’altro che immaginario, non ricordano, ma ribadiscono quanto può essere alto il prezzo da pagare per professare quel diritto basilare dal quale ogni giornalista dovrebbe, sempre, lasciarsi ispirare e guidare: la libertà di stampa.
Giancarlo non è un eroe, ma un uomo comune, ucciso dalla camorra perché incapace di accettare quel compromesso che, allo stato attuale, rappresenta il punto di partenza più consolidato sul quale si ancorano le gesta, non dei suoi “colleghi”, ma di coloro che hanno voluto tramutare il lavoro di Giancarlo in una professione.
Giancarlo, la sua Mehari, continuano a rivendicare la ricerca della verità e la pratica della libertà, quali ideali, principi, valori, azioni e motivazioni ai quali ispirarsi per cambiare le cose, sé stessi, le persone, la realtà.
La semplicità dell’indole di Giancarlo trapela, in tutta la sua cruda e sincera essenza, dai suoi articoli, dalle foto che raccontano la sua storia di ragazzo normale, da tutto quello che resta di lui e che racconta la sua vita terrena e, soprattutto, dalla sua Mehari che tanto suggerisce del ragazzo che è stato e del giornalista che, a dispetto della morte, continua ad essere.
Grazie, Giancarlo, per “l’eterno esempio di libertà” che ci hai lasciato in eredità.