È successo tutto nel giro di pochi, concitati attimi: Luigi Galletta, 21 anni e una vita da ragazzo semplice, barbaramente stroncata da tre colpi di pistola al petto, sopraggiunti in quell’officina in via Carbonara dove lavorava come meccanico.
Proprio un litigio sorto sul luogo di lavoro, “contro chi è bene non aver mai contro”, secondo le indagini condotte dagli inquirenti che stanno lavorando per ricostruire la dinamica del delitto e ricercare il movente che ha generato quegli spari, avrebbe sancito la condanna a morte del giovane meccanico.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Luigi, durante le ore antecedenti all’agguato sarebbe stato vittima di un cruento interrogatorio, seguito da tutt’altro che tenere minacce e culminato in un pestaggio.
Il ragazzo avrebbe subito colpi ben più violenti rispetto al “ceffone” del quale, fin qui, raccontavano delle serrate voci di marciapiede.
Quel pestaggio era un monito, duro e severo, un avvertimento, un presagio che lasciava intuire al giovane che si era cacciato in un brutto guaio, al cospetto di gente che non conosce remissione e tolleranza.
A rendere irreversibilmente chiaro il messaggio, di lì a poco, sono sopraggiunti gli spari, rivolti dritti al petto di Luigi.
Questa la ricostruzione delle ultime ore di vita di Luigi Galletta, il meccanico 21enne colpito a morte venerdì scorso nell’autorimessa di via Carbonara. Una trama semplice e sconcertante che disegna uno scenario complesso, capace di delineare una pista da brividi sul taccuino degli investigatori.
Il ragazzo potrebbe essere stato depositario – più o meno inconsapevole – di “segreti” legati al clan rivale di chi ha compiuto l’agguato.
La targa di uno scooter, le abitudini di un cliente ritenuto legato al clan rivale o qualsiasi altro elemento che può tornare utile a chi ha disperatamente bisogno di un appiglio al quale aggrappare la sanguinaria brama di vendetta che ne personifica l’unica ed imprescindibile ragione di vita. Luigi, nella sua officina, potrebbe aver incontrato affiliati del clan Mazzarella oppure ospitato scooter riconducibili al killer che, lo scorso 2 luglio, ha ucciso Emanuele Sibillo.
Queste le palpabili piste perseguite dagli inquirenti.
Questi i possibili moventi dell’omicidio di un ragazzo estraneo alle logiche criminali, rimasto, suo malgrado, imbrigliato in un’autentica guerra criminale e, probabilmente, costretto a pagare con la vita l’incapacità di fornire ai suoi sicari le informazioni richieste e non perché imbavagliato dalla complice e servile omertà, Luigi era davvero estraneo alle dinamiche correlate agli intrecci camorristici.
Un affiliato del clan rivale rispetto a quello che ha decretato la morte di Luigi, può avergli consegnato un scooter da revisionare e per quel giovane meccanico, quello era solo un cliente come tanti. Non poteva sapere, Luigi. Più intento a dedicare attenzione ai motori che ai volti.
Per la camorra no, non esistono fatalità o coincidenze: tutto deve avere un prezzo, anche l’impossibilità di spiegare qualcosa che non si conosce. È così che la ricostruzione alla quale stanno lavorando gli inquirenti si ritrova a scavare nei rapporti di forza tra i clan in guerra per la leadership di Forcella: l’omicidio Luigi – secondo quanto sta emergendo dalle indagini – potrebbe portare la firma degli uomini del clan di Pasquale Sibillo, ventenne latitante, inferocito dalla morte del fratello Emanuele. Pasquale, come confermato da più testimoni, esige vendetta, accecato dalla morte “indecorosa” inferta al fratello.
Chi ha ucciso Emanuele Sibillo ha premuto il grilletto quando era voltato, colpendolo alle spalle. E questo, secondo il codice d’onore della camorra è uno di quei torti che va vendicato con il sangue.
Quanto feroce, fuori controllo e scevra da lucidità e remore sia la sete di vendetta che tormenta Pasquale Sibillo, trova impietosa conferma proprio nel delitto di Luigi Galletta: ucciso perché incapace di spiegare qualcosa che non conosceva.