Doveva essere l’evento cardine destinato ad animare e contraddistinguere l’estate targata 2015 all’ombra del Vesuvio.
Almeno così era stato presentato sulla carta il “Parthenope Village”, mentre i fatti dimostrano che si è rivelato un clamoroso flop, dissoltosi in una bolla di sapone e polemiche.
Secondo Palazzo San Giacomo, il villaggio sul lungomare non è quello prospettato nella manifestazione di interesse pubblico lanciata dal Comune nei mesi scorsi e deve quindi chiudere bottega. Ritardi, cartellone vuoto, allestimenti al di sotto delle aspettative e pronti solo per il 10% – sostengono al Comune — hanno portato alla drastica decisione di revoca dell’appalto. Per espressa volontà del sindaco Luigi de Magistris. L’azienda che finisce quindi nell’occhio del ciclone è la PJevents, tant’è vero che sul sito della stessa azienda c’è fotografato quella che generalmente è la sua mission: «La Pjevents è un’agenzia di marketing e comunicazione, con oltre 30anni di esperienza, anni in cui, grazie a sinergie con partners ed agenzie media, ha varcato i confini del marketing operativo, proponendosi come vera e propria agenzia di comunicazione, in grado di soddisfare tutte le esigenze e fornire una consulenza totale. Al concetto base di ”emotional marketing”, intorno al quale ruotano tutti gli aspetti della comunicazione, grazie ad una profonda conoscenza del settore, la PJevents affianca l’utilizzo dei nuovi strumenti di comunicazione, digitale, web e social e crea campagne personalizzate, dallo sviluppo dell’identità grafica, alle parole, dalle immagini agli slogan, fino alla selezione del personale più idoneo a trasferire il messaggio aziendale».
Il Comune nel mentre ha fatto partire la procedura di revoca e disinstallazione di quello che c’è nel tratto di lungomare che fa capo alla Rotonda Diaz, dove, appunto, doveva sorgere il «Parthenope village» con l’intimazione a fare presto. Dure ed intransigenti le dichiarazioni del sindaco de Magistris in relazione a questa vicenda: “È molto grave che ai bandi si presentino soggetti che non sono in grado di garantire quanto presentano. Noi siamo persone serie e non ci facciamo prendere in giro”.
Mentre il direttore artistico della Pjevents, Diego Di Flora, ci ha tenuto a specificare le ragioni della partenza a rilento del Village. In primo luogo, la concessione del suolo, arrivata quasi 24 ore prima del Gay Pride. Una circostanza che ha costretto a rinviare l’inaugurazione e a far slittare tutta la programmazione artistica, che avrebbe dovuto avere inizio l’11 luglio, in concomitanza del Pride.
“Dopo aver dedicato troppo del nostro tempo ad un evento che non era il nostro, quello rimasto per la nuova inaugurazione del 18 era irrisorio ed altra scelta non ho avuto che programmare gli eventi di settimana in settimana”, ha spiegato Di Flora. Fino a mercoledì sera, quando è arrivata la notizia della revoca del Comune alla società. Che sottolinea come il palco sulla rotonda Diaz sia stato smontato in realtà alle 12, prima della decisione ufficiale della revoca. Le parole della Pjevents non hanno comunque convinto il Comune, impegnato adesso a organizzare un evento in sostituzione del Village almeno per la settimana di Ferragosto: il consulente ai grandi eventi del Comune, Claudio Magistris, si è già attivato, anche se il tempo stringe.
Un segnale che qualcosa – secondo il Comune – non quadrava lo si è avuto fin dall’inaugurazione, prevista per il 4 luglio, slittata all’11 alla quale lo stesso de Magistris non ha partecipato. Quanto al cartellone sarebbe stato chiesto a Palazzo San Giacomo fino al 18. Sulla pagina Fb dell’evento curata dall’azienda si possono leggere commenti dei napoletani che chiedono informazioni. Allo stato c’è stata una sola esibizione – se si esclude il gay pride – che ha fatto tappa sul lungomare. Nonostante sui manifesti affissi ovunque – in particolare nella zona del lungomare – siano annunciati eventi dal 18 al 21 agosto. Il mandato – secondo la manifestazione di interesse lanciata dal Comune – era quello di realizzare un villaggio, compreso i contenuti, tutti a carico dell’azienda vincitrice che in cambio aveva la possibilità di fare business attraverso quello che ruota intorno a un villaggio sul lungomare: dai caffè, ai panini passando per i gadget. Concretamente il Comune ha messo il palco, perché la Pjevents paga anche la Cosap. Alla gara, per la cronaca, si erano presentate 4 aziende. Un villaggio – a quanto si apprende da qualificate fonti di Palazzo San Giacomo – che aveva avuto il parere positivo anche dalla Sovrintendenza. Monitorato – tuttavia – dai tecnici del Comune fin dalle prime battute, perché non ha convinto mai fino in fondo, la tesi di Palazzo San Giacomo, l’organizzazione messa in campo.
Adesso si cerca di correre ai ripari per assicurare ai napoletani e ai turisti che ad agosto saranno in città, comunque un attività d’intrattenimento interessante almeno a ferragosto.
“Assolutamente scorrette e ingenerose le dichiarazioni che stanno circolando sui media circa una responsabilità del Pride relativamente al fallimento delParthenope Village, il villaggio estivo sul lungomare che ha prematuramente chiuso i battenti in seguito a ritardi e inadempienze della PJevents, società che aveva vinto l’appalto”. Arcigay Napoli non ci sta e replica alle accuse degli organizzatori del village estivo, che sostengono che la cancellazione dell’evento sia una diretta conseguenza di un eccessivo impegno artistico e organizzativo profuso per la realizzazione del party del Pride di Napoli dello scorso 11 luglio, che ha portato in piazza migliaia di persone. “Urge, allora, precisare – si legge in una nota diramata quest’oggi – Come si è strutturata l’organizzazione del Party del Pride che, a prescindere da tutto, è stato l’unico evento in grado di portare un numero considerevole di persone nella zona del lungomare in cui era stato allestito l’atteso Parthenope Village. Vorremmo, infatti, capire a quale impegno artistico e organizzativo fanno riferimento i responsabili della PJevents, dal momento che il palco è stato fornito dal Comune di Napoli, le perizie tecniche necessarie all’uso del medesimo sono state stilate da professionisti legati ad Arcigay, la pubblicità e la promozione dell’evento è stata fatta dalle associazioni lgbt coinvolte nella realizzazione del Pride e inoltre i dj, i vocalist, le drag queen, gli artisti, gli ospiti e l’animazione sono stati tutti chiamati e forniti da gruppi di aggregazione lgbt vicini ad Arcigay”.
Per le altre spese, gli organizzatori del Pride dichiarano: “Ci siamo caricati anche l’onere di ricercare un catering che potesse garantire un minimo di servizi alla serata, poiché la stessa PJevents è venuta meno agli accordi precedentemente stretti con le associazioni lgbt, infatti secondo gli accordi presi con la PJevents, quest’ultima avrebbe dovuto curare il catering della serata, in partnership con alcuni bar della zona di chiaia e alcuni sponsor, riconoscendo alle associazioni coinvolte nel Pride una quota di sponsorizzazione necessaria a coprire i costi vivi della manifestazione”.
“Nonostante la serata dell’11 luglio sia stata un evidente successo – continua il comunicato – e nonostante la realizzazione di un Party gratuito aperto a tutta la cittadinanza sia stato un grande risultato, dal punto di vista civile, mediatico e sociale, quelli davvero danneggiati dalla PJevents, insime ovviamente al danno d’immagine recato alla città e all’amministrazione, sono le associazioni lgbt che hanno operato facendo affidamento su una sponsorizzazione che è stata ritirata all’ultimo momento (a meno di 48h dal Pride), quando era assolutamente impossibile trovare altre soluzioni che non compromettessero la realizzazione del Party e non gravassero ulteriormente sulla realizzazione della manifestazione. Inoltre, ci urge anche ricordare che lo stesso Diego Di Flora, direttore artistico del Pathenope Village, in risposta all’articolo “Villaggio flop, la società: colpa del Gay Pride” pubblicato da Il Mattino in data 25 luglio, ha rilasciato una dichiarazione in cui nega ci siano delle concrete connessioni tra il Pride Party dell’11 luglio e le inadempienze organizzative del villaggio estivo sul lungomare. Infine, una precisazione che è necessario fare, riguarda i rapporti tra il Pride e il Pride Party: il Pride, nella sua chiara e manifesta rilevanza politica e sociale, termina con i discorsi a fine corteo, discorsi importanti come quelli del Sindaco di Napoli, dei rappresentanti dell’amministrazione comunale e regionale e dei consoli di grandi paesi occidentali come Stati Uniti e Francia; il Party, invece, è organizzato, in luoghi e tempi distanti dal corteo, per offrire uno spazio ricreativo alla comunità che ha partecipato alla manifestazione ed è funzionale anche a ricavare un supporto per la gestione degli eventi Pride e del corteo stesso”.
Secondo Arcigay, insomma, a venire meno agli accordi sarebbe stata la PJevents: “Quest’anno, grazie alla grande disponibilità del Comune di Napoli e all’iniziale patto stretto e poi disatteso con la PJevents, siamo riusciti nell’apprezzabile e democratica impresa di garantire un party gratuito alla cittadinanza e, nonostante la PJevents abbia negato la sponsorizzazione all’ultimo minuto, il party è rimasto gratuito a riprova della serietà e della professionalità di tutti i volontari e gli operatori delle associazioni lgbt. Insomma, addebitare al Pride il fallimento del Parthenope Village è davvero una menzogna priva di qualsiasi fondamento e una società seria come la PJevents non può certamente venir meno alle proprie responsabilità, attribuendo ad altri mancanze ed errori che hanno condotto al fallimento di un progetto tanto importante per Napoli e per la sua immagine turistica e culturale”.