Hai 17 anni e il tuo cammino si ripartisce equamente tra i dissestati marciapiedi delle caotiche strade del tuo quartiere, San Giovanni a Teduccio e quei sentieri pregni di sogni che sanno caricarsi con i colori delle aspettative e delle ambizioni, peculiari di quel limbo di strada che resta da percorrere per raggiungere la maggiore età.
18 anni: la conquista del libretto delle giustificazioni, la patente, l’automobile, le uscite tanto attese sulle quattro ruote con gli amici ed anche con quella tipa che, tra una cosa e l’altra, stanzia sempre nei pensieri e tra i pensieri, la cui vista innesca quell’ingestibile battito di cuore. Così forte, così intenso, così emozionante.
Quanta vita in un solo e semplice numero: 18.
Un numero che personifica il mancato conseguimento di un traguardo, divenuto inaspettatamente inafferrabile per Nicola Cuozzo, due candeline destinate a non adornare quella torta che probabilmente già stava pregustando, insieme al primo desiderio da maggiorenne da consegnare a quel soffio, denso di gioia, di aspettative e di vita. Soprattutto di vita.
Vita inondata da quell’enfasi, acerba, parzialmente ingenua, ancora non del tutto segnata dalle brutture più scaltre e ciniche, peculiari dell’esistenza, ancora capace di guardare al mondo con occhi ottimistici e di spingersi sempre più oltre con i sogni, per giungere laddove non esistono staccionate che limitano chimere e desideri.
È morto così Nicola Cuozzo, mentre stava accarezzando i suoi sogni di imminente diciottenne, a pochi, pochissimi metri dal conseguimento di quel primo, agognato traguardo.
Avrebbe raggiunto la maggiore età il prossimo ottobre ed invece, tra lui e la vita, si sono frapposti dei colpi di pistola che ne hanno arrestato il cammino terreno ed anche quello peculiare del giovane ed intrepido sognatore.
Ad infliggere quella morte, le mani in cui è scalfita la forma più embrionale e viscerale d’amore, quella che contraddistingue solo e soltanto il sentimento che congiunge un padre e un figlio. E che mai potrebbe e dovrebbe generare morte, dopo aver procreato una vita, verso quella stessa vita.
Forse, quel padre, tante volte, prima di quell’ultima e tragica notte, avrà raccomandato suo figlio di riguardarsi dai brutti ceffi e di proteggersi dai pericoli che un’arma carica può letalmente sortire.
Poi, accade l’inimmaginabile, l’irrecuperabile, l’irreversibile.
Sono le sue stesse mani ad afferrare un’arma e disseminare morte.
Nicola è morto sognando i nefasti di una vita stroncata nel sonno, eternamente privata di tutto: in primis, della possibilità di comprenderne le ragioni.
Prima di uccidere sua moglie, nonché madre di Nicola ed infine conficcarsi una pallottola nel cranio portandosi la pistola alla tempia, quell’uomo, il padre di Nicola, ha voluto coprire quel giovane corpo esanime con un lenzuolo.
Un ultimo atto d’amore. Un lampante gesto di compassione verso quella carcassa, straziata dalla sua stessa follia omicida, secondo altri.
Nessuno mai potrà trovare un compiuto ed attendibile senso a quella notte di sanguinaria atrocità consumatasi in casa Cuozzo.
Nicola è morto così.