Quando si dice che il troppo lavoro può arrivare anche ad uccidere. E’ questo purtroppo il caso di un giovane ragazzo di 19 anni, Samuele O. di Gallarate, in provincia di Varese, il quale si è suicidato sotto al treno il 22 febbraio scorso.
Da quanto emerso, il giovane non ha retto la pressione della sua datrice di lavoro e per questo motivo ha deciso di farla finita, suicidandosi sotto un treno. Si parla di istigazione al suicidio, e proprio per questo motivo la polizia ha aperto un fascicolo per cercare di raccogliere notizie, testimonianze ed altre informazioni che possano aiutare a fare luce su quanto accaduto.
Al momento si tratterebbe di un atto dovuto per permettere alla polizia giudiziaria di svolgere accertamenti, anche se il quadro denunciato dai genitori del ragazzo al pm Luigi Furno appare inquietante.
Perchè Samuele avrebbe voluto togliersi la vita senza neppure parlare di quello che stava succedendo con i suoi genitori? Sembra che i suoi problemi fossero da ricercare nel mondo del lavoro. Secondo le indiscrezioni raccolte, il ragazzo era costretto a lavorare per circa 300 euro al mese ma lavorava almeno 6 ore al giorno ( con un massimo anche di 8 ore al giorno). Non avrebbe saputo dire di no a questa situazione che lo avrebbe addirittura portato alla morte.
Una situazione lavorativa troppo attuale ai nostri giorni, dove vige una regola ben precisa: “o accetti queste regole non scritte, o te ne vai e lasci il posto a una decina di ragazzi ancor più disperati e bisognosi”. Mi chiedo dunque, come un giovane possa farsi un idea positiva e serena del proprio futuro lavorativo se queste rappresentano in moltissimi casi le regole d’ingaggio.
L’esordio nel mondo del lavoro è fondamentale dal punto di vista psicologico: una componente dell’identità che si costituisce grazie alla realizzazione di un sogno, alla gioia di affermarsi mediante un percorso professionale. Dovrebbe essere così, ma purtroppo per moltissimi giovani non lo è, e nella peggiore delle ipotesi si arriva alla tragica conclusione di buttar via la propria vita proprio per l’insoddisfazione e la frustrazione dettata da uno sfruttamento lavorativo. Esattamente come nel caso di Samuele O.