Fascino esotico, sguardo magnetico, Omar Sharif lascia un triste vuoto nel cuore dei suoi familiari e dei suoi fan.
Uno dei volti più amati di Hollywood l’attore egiziano di origine libanese Omar Sharif è morto a 83 anni al Cairo dopo un attacco di cuore che lo aveva colpito ieri pomeriggio in un ospedale della capitale egiziana, così come confermato dal suo agente Steve Kenis.
Sempre quest’anno, a Sharif era stato diagnosticato il morbo di Alzheimer.
Tra gli anni Sessanta e Settanta, Sharif deve la sua notorietà ad alcuni ruoli rimasti nella storia del cinema mondiale, dal Dottor Zivago (tratto dal romanzo di Pasternak) a Sherif Ali in Lawrence d’Arabia, al fianco di Peter O’Toole. Proprio questi due capolavori cinematografici gli avevano permesso di vincere altrettanti Golden Globe, anche se l’Oscar non è mai arrivato, nonostante una nomination per Lawrence d’Arabia.
Sharif (il cui vero nome era Michel Dimitri Shalhoub), figlio di genitori libanesi, era nato ad Alessandria d’Egitto.
Diplomato all’inglese Victoria College, laureato in matematica e fisica al Cairo, scoprì il cinema quasi per caso nel 1953 grazie al regista Youssef Chahine, che lo scelse per Lotta sul fiume. In otto anni interpretò oltre 20 film in Egitto, tra cui La castellana del Libano e I giorni dell’amore, che vennero distribuiti anche in Italia.
Tra i film più famosi della sua carriera, Funny Girl di William Wyler (interpretato con Barbra Streisand, che per un periodo è stata anche la sua compagna),
Per sposare l’attrice Faten Hamama si convertì all’Islam e scelse il nome che lo accompagnerà per la vita, Omar El Sharif.
Ha vissuto almeno tre vite (da star, da giocatore di bridge, da seduttore e artista della vita), ma la sua faccia sembrava ormai scolpita nel tempo, con quegli occhi brillanti, i baffi e il sorriso sornione, in una carriera costellata da successi e ruoli che hanno lasciato incantato il pubblico, sotto il segno dell’irregolarità, tra passioni, debiti, curiosità e voglia di vivere.
Dopo solo 10 anni dal primo successo internazionale, Omar Sharif ha già visto tutto del cinema mondiale.
Intanto ha imparato l’italiano, parla il greco e il turco, ha pubblicato il suo primo manuale di bridge ed è entrato nella lista dei “top players” del gioco. “Finisci a fare una vita – racconta nella sua autobiografia – in totale solitudine: alberghi, valigie, cene senza nessuno che ti metta in discussione. L’attrazione del tavolo verde per me diventò irresistibile. E ci ho sperperato delle fortune. A un certo momento ho capito e ho deciso di smettere anche con il bridge per non sentirmi prigioniero delle mie passioni. Facevo film per pagare debiti – ricorda ancora – e alla fine mi sono stufato”.
Dovrà aspettare l’incontro con il francese Francois Dupeyron, per ritrovarsi.
Il film è “Monsieur Ibrahim e i fiori del corano” che emoziona il pubblico e la giuria alla Mostra di Venezia nel 2003 dove Omar Sharif riceve il Leone d’oro alla carriera e ritrova anche le sue origini mediorientali con l’interpretazione dell’anziano commerciante sufi che scopre la sua vocazione paterna nell’incontro con il giovane ebreo Momo Schmidt.
Tra le sue ultime apparizioni, un cammeo muto nei panni di se stesso nel film di Valeria Bruni Tedeschi nel film “Un castello in Italia”.