Filumena Marturano è uno dei più riusciti e meditati personaggi femminili di Eduardo De Filippo, e al contempo, una delle commedie più care all’autore; molto amata dal grandissimo drammaturgo napoletano.
Scritta da Eduardo per la sorella Titina, che lamentava come il vero successo della ribalta fosse sempre riservato al protagonista maschile, al primo attore, e mai alla donna, e portata in scena per la prima volta al teatro Politeama di Napoli nel 1946, ”Filumena Marturano” ancora oggi è la sua commedia maggiormente rappresentata all’estero.
Filumena Marturano, infatti, rappresenta l’unica commedia di Eduardo dove il protagonista non è un uomo, ma una donna. Filumena è appunto la protagonista, non solo perché la commedia ha il suo nome, perché obiettivamente il suo ruolo è il cardine fondamentale nello svolgimento della storia, ma anche e soprattutto per la caratura del personaggio che si eleva di una spanna rispetto a quella di Domenico Soriano (altro personaggio cardine della commedia).
Raccontò Eduardo: “L’idea di Filumena Marturano mi nacque alla lettura di una notizia; una donna a Napoli, che conviveva con un uomo senza esserne la moglie, era riuscita a farsi sposare soltanto fingendosi moribonda. Questo era il fatterello piccante, ma minuscolo; da esso trassi la vicenda ben più vasta e patetica di Filumena, la più cara delle mie creature”. Ed è infatti proprio questa la sintesi dell’opera di Eduardo, un’interpretazione indimenticabile, da cui è stato tratto un’altrettanto splendido film, che vede come protagonisti Sofia Loren e Marcello Mastroianni.
Filumena Marturano è analfabeta, conosce soli i numeri (era riuscita infatti a scrivere su una banconota da 100 lire la data del concepimento del figlio avuto da Domenico); parla pertanto solo ed esclusivamente in napoletano, un napoletano molto stretto. Il suo tono, nonché le sue movenze e il suo modo di gesticolare, sono proprio quelli tipici delle popolane partenopee.
Ex prostituta, si finge moribonda per farsi sposare dal suo amante, Domenico Soriano. Scoperta la beffa, l’uomo pretende l’annullamento del matrimonio perché, sostiene, essergli stato estorto con l’inganno. A quel punto la donna rivela d’avere tre figli e che uno dei tre è figlio proprio di Domenico Soriano.
Inizialmente l’uomo è furioso, ed insiste nella richiesta d’annullamento e nel voler sapere quale sia suo figlio, ma Filumena, testarda e ostinata, acconsente alla prima richiesta ed oppone un energico rifiuto alla seconda. Infine il conflitto si scioglierà, e la donna riuscirà a farsi sposare con una cerimonia ufficiale e ad ottenere il riconoscimento dei tre figli.
Nel teatro eduardiano Filumena unisce sia caratteristiche storicamente considerate maschili sia femminili, come: senso della realtà, ostinazione, perseveranza e determinazione, qualità che la metteranno contro tutto e tutti per affermare un sogno che da lungo tempo insegue: la famiglia.
Con un netto rifiuto della disgregazione familiare, in modo ossessivo, eroico e drammatico, attraverso l’orgoglioso amore di madre, ricerca ed impone quel bisogno di unità che non ha conosciuto nell’infanzia e non ha ritrovato nella sua vita da adulta, in un confronto continuo tra passato reale e doloroso e presente ideale, volendo a tutti i costi essere riconosciuta come moglie e come madre da Domenico Soriano, dai figli e dal mondo.
La fermezza e la profondità del carattere di Filumena, alla fine, convinceranno Domenico Soriano ad accettare di sposarla, riconoscendo indistintamente i giovani come suoi figli, commuovendosi quando, nell’accompagnare i coniugi in chiesa, questi ad un tratto lo chiamano per la prima volta: “papà”.
Filumena, in buona sostanza, lotta per amore. L’amore immenso, incondizionato, comprensibile solo da una madre verso i propri figli, per assicurare loro stabilità e dignità: Hann’ ‘a sapé chi è ‘a mamma…Nun s’hann’ ‘a mettere scuorno vicino all’ at’uommene…’a famiglia…’a casa…’a famiglia.
Filumena è ignorante, analfabeta, parla solo il dialetto, ma è egualmente capace d’affermare il suo principio e di difendersi dalle disquisizioni e dai cavilli della legge, opponendo esclusivamente la forza del sentimento.
Indimenticabile, come tutta l’opera del resto, il finale del terzo atto, quando la donna, che non ha mai versato una lacrima, che ha sempre avuto gli occhi asciutti, recita: Sai quanno se chiagne?Quanno se cunosce ‘o bbene e nun se po’ avé!Ma Filumena Marturano bene nun ne cunosce , si scioglierà in lacrime così alla presenza del marito, ora comprensivo, esclamando in tono quasi liberatorio: Dummì,sto chiagnenno…Quant’è bello a chiàgnere!
In questa storia, commovente e struggente, nella sua interpretazione Titina ha messo tutta se stessa e tutti i suoi sentimenti, tanto da risultare inarrivabile pure in confronto alle successive e notevolissime recitazioni in quel ruolo di attrici-monumento. La Filumena di Titina era vera, vivida, regalando una partecipazione alla storia come pochissime rappresentazioni cinematografiche o teatrali riuscirono, trasformando lo spettatore in fantasma del palcoscenico divenendo parte integrante della scena, dei movimenti, delle pause, con le emozioni, con il cuore in gola. Filumena è Titina, sono una cosa sola, l’amore, la passione e il dolore vero, messi in scena non come recitazione, come verità.