Cronaca di un delitto annunciato, questo sembrerebbe agli occhi dei magistrati, il filo conduttore che lega Daniele Ughetto Piampaschet all’omicidio della ventenne Anthonia Egbuna.
Esiste qualcosa di più “noir” di un aspirante scrittore accusato dell’omicidio descritto nelle pagine del proprio romanzo?
Evidentemente si.
Lo stesso aspirante scrittore nella tragica realtà, viene arrestato, non per un espediente narrativo, ma perchè considerato l’unico responsabile della morte di Anthonia Egbuna, prostituta nigeriana di appena vent’anni. Assolto in primo grado il 9 aprile del 2014 “per non avere commesso il fatto”, festeggia la libertà ritrovata solo per un anno. Pochi giorni fa, in Corte d’Appello tutto cambia e la prima sentenza viene ribaltata: Daniele Ughetto Piampaschet viene condannato con l’accusa di omicidio volontario, a 25 anni e 6 mesi di carcere.
Facciamo un passo indietro per capire come sono andati veramente i fatti.
All’epoca Daniele si era laureato in filosofia, passando tra gli altri un esame di Psicopatologia dell’età evolutiva, e, come scriveranno i giornali, è aspirante scrittore (nel senso che non è mai stato pubblicato).
È anche reduce da un matrimonio fallito con una prostituta nigeriana.
Il corpo di Anthonia Egbuna, ventenne, anche lei prostituta nigeriana, viene ripescato a un mese dal decesso – si può immaginare in quali condizioni – dentro il Po, il 26 febbraio2012, nei pressi di una diga dell’Enel accanto al Parco Einaudi a Torino. È stata accoltellata. Normalmente, dato l’avanzato stato di decomposizione del corpo e la professione di per sé pericolosa della vittima, questo sarebbe il tipico delitto irrisolto, quello a cui nessuno dedica attenzione più di tanto, né stampa né forze dell’ordine. È scomparsa una non persona, come ne scompaiono tante: uccisa da un cliente, dal protettore, da un rapinatore. Come ne muoiono tante.
Invece gli inquirenti si danno da fare. Nell’appartamento della vittima trovano un manoscritto, intitolato La rosa e il leone, e tante lettere. Il romanzo, in realtà poco più di un canovaccio, racconta dell’amore impossibile tra un italiano e una prostituta africana, del tentativo dell’uomo di redimerla, del rifiuto della donna, dell’inevitabile epilogo: se non posso averti solo per me, non ti avrà nessuno. L’atto viene consumato a colpi di fucile, dopo di che l’uomo si suicida: “
L’autore si firma Daniele Ughetto Piampaschet.
Gli investigatori non ci mettono molto ad accertarsi che l’uomo, originario di Giaveno, aveva avuto una relazione sentimentale con la vittima. Non solo: per questo aspirante scrittore di provincia, laureato in filosofia e con una vita disordinata alle spalle, l’Africa e le donne di colore sono una vera passione. O forse un’ossessione. Era già stato sposato con un’altra donna nigeriana, da cui aveva poi divorziato, ed aveva compiuto alcuni viaggi nel grande Paese africano.
La prosa del romanzo non è eccellente, ma i carabinieri, più che alla forma, si interessano al contenuto: «Lui l’amava e l’amava sempre di più, ma lei non voleva saperne di lasciare la strada. Tutti i suoi tentativi di convincerla a cambiar vita erano falliti. E per questo si era trasformata nella sua torturatrice». E ancora: «L’Africa per me significava Nigeria. E Nigeria significava le donne. E le donne significavano le prostitute, così chiamate da tutti, ma per me rappresentavano l’Assoluto in terra. L’Assoluto in termini di bellezza».
Insomma, in pochi minuti Daniele si trasforma nel sospettato ideale e l’omicidio descritto nel suo romanzo viene interpretato come un’anticipazione, se non addirittura una confessione, di quello reale messo in atto di lì a poco ai danni di Anthonia. Il cerchio si stringe. Gli investigatori scoprono che l’inteso traffico telefonico fra la ragazza e l’aspirante scrittore si interrompe proprio poche ore dopo la scomparsa della nigeriana. Inoltre sull’auto sequestrata a Ughetto Piampaschet vengono rinvenute tracce biologiche e macchie di sangue della vittima. Quanto basta a portare l’uomo in carcere con l’accusa di omicidio.
Oltre a questo ci sono le lettere, le migliaia di telefonate, le testimonianze (Daniele la caricava sulla sua auto tutte le sere) e infine anche la prova del DNA. Forse scrivendo voleva esorcizzare il demone, forse sperava di commuoverla. Forse voleva spaventarla. Non si commuovono le forze dell’ordine: lo arrestano il 16 agosto 2012, di ritorno da un periodo di lavoro all’estero. Nel suo appartamento un altro racconto dal titolo terribile: Bruciami negra. Forse peggiore del titolo-epitaffio inventato da qualche giornalista: “Scrivo male ma ammazzo benissimo”.
Quello che è diventato un romanzo ormai noto a tutti, pur non essendo mai stato pubblicato, manca però dell’ultimo capitolo ancora tutto da scrivere: “Non ci sono ragioni per incarcerare subito il mio cliente”. Lo ha detto, uscendo dal palazzo di giustizia di Torino, Stefano Tizzani, avvocato di Piampaschet. “La decisione spetta al procuratore generale che deve valutarne l’eventuale pericolosità sociale o di inquinamento probatorio o il pericolo di fuga. In quest’anno che il mio cliente ha vissuto libero è stato dimostrato che non sussiste alcuna di queste possibilità”. Sulla sentenza, Tizzani si è limitato a dire che “presenteremo ricorso in Cassazione”.